Non sono dei nostri

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lo sguardo pastorale

Non sono dei nostri

Quante volte lo si sente dire nei paesi, tra i tifosi, in ambito politico, riguardo alla spinosa questione dell’immigrazione e, ahimè, quante volte lo si sente dire anche tra le comunità dei discepoli del Signore Gesù. Abbiamo bisogno di connotarci, di distinguerci, di essere in qualche modo riconoscibili, identificabili. Nel “mare magnum” del mondo globalizzato sentiamo di non valere nulla, di non contare nulla, di essere un numero, quindi abbiamo bisogno di emergere, fosse anche facendo gli imbecilli in un “reality show”. Questo legittimo bisogno che può e deve esistere anche nelle comunità, e che diventa legittimo senso di appartenenza alla storia di una parrocchia e delle sue vicissitudini, senso di familiarità che ci dona la gioia di essere accolti e riconosciuti in ambito fraterno, può degenerare in una sorta di settarismo che contraddice il vangelo. Innanzitutto un settarismo “ad intra”.

Negli ultimi decenni lo Spirito Santo ha suscitato nella chiesa cattolica numerose e innovative esperienze di fede: movimenti e associazioni hanno saputo cogliere di più e meglio, rispetto alla consolidata ma talora stanca esperienza delle parrocchie, la novità dell’annuncio. Ritengo che tale abbondanza di intuizioni sia un dono del Signore ma che vada vagliato con logica evangelica. Ho visto parrocchie dividersi in gruppi e gruppetti, ho visto zelantissimi neo-convertiti fare proselitismo all’interno della Chiesa, ho visto persone devote e infervorate confondere la propria esperienza di conversione come l’unico modo di essere cristiani. Non dimentichiamo che la Chiesa italiana ha scelto di restare in mezzo alla gente con quello strumento povero che è la parrocchia. La parrocchia è chiamata a recuperare attenzione alle persone, ad attingere ed ispirarsi alle intuizioni positive di movimenti e associazioni, restando però il cardine dell’annuncio del vangelo. Proprio perché così dimessa, proprio perché così vulnerabile, così popolare, risulta presenza viva di Cristo tra le case, cioè nel vissuto quotidiano della gente. Le nostre comunità, se anche hanno la fortuna di avere uno o più gruppi di persone maggiormente impegnate, devono fuggire la tentazione di diventare selettive. I genitori dei bimbi del catechismo, gli sposi in difficoltà, i poveri e i disperati, tutti coloro che bussano alla porta della parrocchia devono essere accolti senza supponenza ma, nel pieno spirito evangelico, nella disarmante semplicità che allarga le maglie delle proprie sicurezze ed entra nella logica del seminatore che non controlla il tipo di terreno su cui semina.

Esiste anche un settarismo “ad extra”, la voglia di difendersi da un mondo che sempre meno capisce e tollera la presenza cristiana. Dobbiamo impegnarci a fondo per ottenere quell’equilibrio che da una parte connoti un’identità, quella cristiana, che ha diritto di cittadinanza, ma che dall’altro non diventi contrapposizione. Uno sguardo ottimista sulla realtà e sul cammino dell’uomo, come insegna Gesù, ci permette di riconoscere e valorizzare i tanti semi di bene e di luce che lo Spirito semina nel cuore dei non credenti.

Iniziamo l’anno pastorale con questa certezza: siamo lo spazio pubblicitario di Dio per il mondo, chiamati a vivere al nostro interno rapporti da “salvati” e a far diventare le nostre piccole e acciaccate comunità città sul monte, segno di speranza per i cercatori di verità. È Dio che converte e salva il mondo. Noi, al più, cerchiamo di non ostacolarlo.

don Francesco Zenna