Chiamati e inviati

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PAROLA DI DIO

Letture: Am 7,12-15; Sal 84; Ef 1,3-14; Mc 6,7-13

Chiamati e inviati

Am 7,12-15: “Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele”.

Amos, uomo sensibile ed attento agli avvenimenti sociali, politici e religiosi del suo tempo, con lo sguardo aperto alle vicende del suo popolo dell’alleanza parimenti a quelle di tutti gli altri popoli, perché il ‘suo’ Dio veglia (cc.13) su tutti i popoli. Amos, uomo pieno di amore per il suo popolo al quale è stato inviato da Dio a “profetare” (7,15) e per il quale implora dal suo Dio perdono e pietà (7,2.5). Amos, uomo senza paura che denunzia gli abusi sociali e vede chiaramente che è sulla pelle dei poveri che i ricchi costruiscono le loro sfacciate ricchezze (2,68; 4,1). Amos, uomo che coglie l’inscindibile rapporto tra “culto e vita”, tra “professione di fede e pratica della giustizia” (5,2127). Amos, profeta che non fa le teorie delle dottrine sociali, ma che vede il peccato delle violazioni del diritto e della giustizia e le denuncia!

I tempi di Amos vedevano in buona parte la religione ufficiale israelitica sottoposta al potere politico che oramai non si regolava più secondo la fede nel Signore, che pure proclamava di seguire. La liberazione avvenuta nell’uscita dall’Egitto era concretamente possibile solo nel riconoscimento dei diritti di ogni persona, di ogni tribù, clan e famiglia a vivere nella propria terra, nella propria casa e del proprio lavoro, che invece erano minacciati. Il latifondismo di pochi si sostituiva gradualmente alla proprietà di ogni famiglia. Pochi ricchi diventavano sempre più ricchi e i molti poveri immiserivano sempre di più, dando così origine alla condizione di schiavitù. Leggi inique, ingiustizia nei tribunali e violenza delle istituzione riducevano al silenzio chi avesse osato parlare. Tutto questo sistema era avallato dall’autorità religiosa che pure traeva i suoi vantaggi e privilegi. Ecco con Amos riprendere voce la profezia che aveva avuto specialmente in Elia ed Eliseo due antesignani. Egli non era cresciuto in nessun circolo religioso particolare e non era di famiglia sacerdotale. A causa delle accuse ingiuste di tramare contro il potere riferite al re da parte del sacerdote del tempio Amos è ricacciato al suo paese d’origine. Bella la risposta del profeta: egli non è un professionista del sacro, asservito e compiacente al potere e non ha bisogno di mantenersi con la sua predicazione. Ha lasciato la sua professione, dalla quale si è sentito quasi strappato dalla forza divina interiore, per richiamare il suo popolo alla fedeltà agli impegni dell’alleanza palesemente violata: un culto sfarzoso simile al culto pagano dei Cananei conviveva con la palese violazione della giustizia sociale. Alla forza della Parola di Dio egli non poteva sottrarsi, né all’amore per il suo popolo, che Dio gli aveva fatto conoscere essere in grave pericolo a causa del suo peccato: in mancanza di conversione una grande catastrofe si sarebbe abbattuta su di esso. Si era ancora in tempo per scongiurare la catastrofe. Nella reazione del sacerdote Amasia si presagisce già il rifiuto dell’appello del profeta, appello alla conversione per la salvezza.

Sal 84. “Mostraci, Signore, la tua misericordia”.

Tre parole chiave dominano il salmo: salvezza (vv.5.8.14), pace (vv. 9.11) e terra (2.10.13). La liturgia usa la terza parte del salmo, l’oracolo di salvezza. In esso (vv. 914) si annuncia la conclusione del dramma che turba l’universo. Riconciliati, il cielo e la terra si daranno l’abbraccio della pace. Come il sole penetra la terra per risvegliarvi la vita, così la misericordia divina farà nascere la fedeltà umana. Giustizia e pace si baceranno perché l’ordine di Dio rispettato non può generare altro che tranquillità. La pace sulla terra è un frutto del cielo, seminato cioè da Dio. La salvezza germoglia sulle orme della giustizia di Dio. L’uomo moderno è più che mai sensibile alla giustizia e alla pace. Bisogna però che la giustizia non sia un insieme di disposizioni arbitrariamente emanate in difesa di una minoranza di privilegiati.

Ef 1,3-14: “In Cristo ci ha scelti prima della creazione del mondo”.

Nell’inno con cui si apre la lettera agli Efesini, la chiesa assume le dimensioni di tutta l’umanità. Dio è il soggetto di tutti i verbi di questo cantico: Egli ha scelto e predestinato la Chiesa (vv. 46a), l’ha colmata dei suoi doni (vv. 6b7), le ha dato sapienza e scienza per conoscere il mistero del suo disegno (vv.8-10). Dio e il suo progetto si manifestano nella storia. Dio è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo. La storia della salvezza si svolge nel tempo e sulla terra, ma rivela un disegno di grazia stabilito da tutta l’eternità. L’inno di benedizione non perde mai di vista che l’opera di Dio, concepita nei cieli, è stata manifestata per mezzo di Cristo sulla terra. L’azione di Cristo è richiamata sette volte, come un ritornello e in lui si riassume tutta la molteplicità innumerevole dei doni di Dio e della sua benevolenza. Noi esistiamo per Dio, gli uni in rapporto agli altri, nel Figlio, primogenito di tutta la creazione. Ogni vita, tutto ciò che si fa, tutto ciò che accade è riferibile a Gesù Cristo. Come tutta la creazione è ricapitolata in Cristo, così pure ogni esistenza personale. Nulla rimane estraneo o indifferente al progetto di Dio. A questo progetto di salvezza e di amore sono chiamati tutti gli uomini, anche se nella sua manifestazione storica esso si è manifestato prima nel popolo ebraico (noi) e poi esteso a tutti le genti (voi).

Mc 6,7-13: “Gesù chiamò i dodici e cominciò a mandarli…”.

E’ uno dei tre testi del vangelo di Marco che riguardano gli apostoli (1,16-26; 3,13-19; 6,7-13) : la loro chiamata, la loro istituzione come gruppo e ora la loro missione. In essi si descrivono progressivamente le caratteristiche del discepolo-apostolo, chiamato dal Signore e disponibile alle rinunce che la sequela richiede (1,16-26). Egli è scelto per stare con Lui e per essere mandato ad annunciare l’evangelo (3,13-19) con la forza stessa che viene dal Signore, non dalla potenza dell’organizzazione umana, con lo scopo di servire la salvezza degli uomini e non per farne motivo di qualsiasi lucro o vantaggio personale (6,7-13). Sono messi in evidenza soprattutto lo spirito e le condizioni della missione sia da parte dell’inviato che dei destinatari dell’annuncio. La missione è in continuità con quanto Gesù ha operato: liberare l’uomo dal male, come dice un’invocazione del ‘Padre nostro’: “liberaci dal male”. Liberare dal male è originariamente proprio di Dio. L’inviato si fa strumento dell’azione del Signore. Come ha operato Gesù, così deve operare l’apostolo. La preghiera e l’azione dell’apostolo devono riferirsi a tutti gli ambiti della vita umana: della salute fisica, psichica, mentale, morale, sociale, spirituale, fino alla salvezza eterna. E’ questo l’ambito dell’azione della Chiesa: tutto ciò che riguarda l’uomo. Questa salvezza è dono da accogliere, non può essere imposto. Chi è disposto a ricevere il dono, lo dimostra accogliendo l’inviato. L’oggetto dell’annuncio è insieme messaggio e azione: “E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano”. L’evangelo esige una disponibilità ad aprirsi all’azione liberante del Signore che sola può operare ogni salvezza.

                                                       +  Adriano Tessarollo