Un omaggio pubblico a 44 anni di distanza

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In ricordo di don Giuseppe Ballarin, prete degli orfani

Un omaggio pubblico a 44 anni di distanza

Sentivo forte dentro di me il desiderio di fare qualcosa per tenere vivo il ricordo di don Giuseppe, il quale mi ha davvero voluto molto bene». Inizia così il racconto di Gioacchino Fiscaletti uno degli ex allievi del sacerdote chioggiotto che con la semplicità del suo grande amore ha saputo affrontare ogni tipo di difficoltà dando un aiuto concreto ai bambini orfani.

Uniti da questo desiderio alcuni ex alunni di don Giuseppe Ballarin hanno proposto alle autorità civili di dedicare una targa in suo ricordo.

La celebrazione si è svolta sabato 6 giugno presso l’ex sede della “Casa dei Fanciulli” in via San Marco a Sottomarina, alla presenza delle autorità civili, l’assessore alla cultura e vicesindaco Luigi De Perini e il sindaco Giuseppe Casson, e religiose, il vescovo mons. Adriano Tessarollo, il vicario generale mons. Francesco Zenna e il parroco don Pierangelo Laurenti.

«Era il 13 ottobre 1938 quando vidi per la prima volta don Giuseppe Ballarin – racconta Gioacchino – ricordo bene quella data perché era la festa del Patrono, e don Giuseppe viaggiò in treno fino a San Benedetto, dove abito tutt’ora, per venirmi a prendere e insieme partimmo per Sottomarina per poi raggiungere l’Istituto “Fanciulli del popolo orfani di pescatori mediterranei”».

Gioacchino Fiscaletti, nato il 25 ottobre 1929, perse il padre nel 1937 dopo un incidente avvenuto a bordo di un motopeschereccio mentre si trovava al lavoro a Termoli. Rimase così solo con le due sorelle minori e la madre che lavorava negli alberghi per sostenere i figli. «Don Giuseppe non volle abbandonarmi e mi prese con sé».

All’istituto Gioacchino rimase un anno, poi, nel settembre del 1939, data la grave situazione economica dell’istituto, tutti i fanciulli furono trasferiti a Pellestrina e ospitati nell’istituto “Maris Stella”, un fabbricato di proprietà del dott. Marella annesso al santuario della Madonna dell’Apparizione. La gestione e l’assistenza dei ragazzi fu dapprima affidata a dei laici e sacerdoti di Chioggia, poi passò ai padri Canossiani di San Giobbe. Durante la guerra la situazione peggiorava sempre di più. «Decisi di ritornare a casa da mia madre – continua Gioacchino – avevo paura di non rivederla mai più. Chiesi quindi il permesso di lasciare l’istituto e il 5 ottobre 1943, grazie alla milizia ferroviaria che mi accompagnò durante il viaggio, arrivai a San Benedetto del Tronto».

Don Giuseppe affrontò tantissime difficoltà e ogni genere di sacrifici per assicurare cibo e vestiti ai suoi orfani, ma, purtroppo, non avendo tanti mezzi a disposizione, finì per indebitarsi e il vescovo mons. Giacinto Ambrosi, nel 1947, fu costretto a sospenderlo “a divinis”.

«Passarono molti anni dalla fine della guerra – ricorda Gioacchino – e di tanto in tanto il mio pensiero andava al “Maris Stella”. Chiesi notizie di don Giuseppe e degli altri religiosi che conobbi all’istituto e nel 1969 tramite un telegramma don Giuseppe mi comunicò di aver avuto un contatto con il papa Paolo VI. Il mio cuore fu pieno di gioia». Don Giuseppe, sospeso a divinis per 22 anni, si recò a Roma con la supplica preparata da padre Ravagnan, si gettò ai piedi del papa implorando il suo aiuto e poco tempo dopo il vescovo di Chioggia, mons. G.B. Piasentini, tolse la punizione e don Giuseppe potè ritornare a celebrare l’eucaristia.

«Nel 1970 fu l’ultima volta che vidi don Giuseppe: venni a sapere che si trovava a Molveno. Andai quindi a trovarlo e quando don Giuseppe mi vide mi corse incontro, mi abbracciò e si mise a piangere dalla gioia che provava nel rivedermi. Mi strinse in un abbraccio fortissimo come se sapesse che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro. E così fu. Nel settembre del 1971 fu assassinato con 14 coltellate».

La chiesa di San Martino, in cui venne celebrato il funerale, era piena di gente. I giornali dell’epoca scrivevano “Hanno ucciso un santo”. La sorella di don Giuseppe e gli ex alunni dell’istituto contribuirono nella costruzione della tomba che riporta la stessa iscrizione incisa nella targa inaugurata lo scorso 6 giugno: “Don Giuseppe Ballarin apostolo di carità diede casa pane e vestiti a tanti fanciulli poveri”.

Nelle parole di Gioacchino era ancora viva la commozione ricordando quegli anni: «Don Giuseppe ce l’ho nel cuore. Aveva sempre la veste sporca, ai piedi scarpe rotte: a lui non interessava curare la sua persona, ciò che più gli importava eravamo noi, i suoi orfani. Don Giuseppe ha dato tutto se stesso per gli altri, è sempre stato vicino agli ultimi. Nel cuore porterò sempre i ricordi di quegli anni e di quel sacerdote che mi ha voluto davvero molto bene.                                                                                          Alice Penzo