PAROLA DI DIO – Perché chi crede in lui abbia la vita

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PAROLA DI DIO – Perché chi crede in lui abbia la vita

Letture: 2Cr 36,14-16.19-23; Salmo 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

2Cr 36,14-16.19-23. “Il Signore mandò premurosamente messaggeri…. perché amava il suo popolo…Ma essi si beffarono…, disprezzarono le sue parole”

In questa rara pagina dei libri delle Cronache utilizzata dalla liturgia domenicale troviamo riassunta l’interpretazione ‘profetica e religiosa’ della storia, tipica della bibbia. Nell’interpretazione ‘laica’ della storia, Dio non è mai chiamato in causa mentre in quella religiosa Dio c’entra qualcosa! E la sua presenza non toglie la responsabilità dell’uomo, anzi ne evidenzia coraggiosamente anche gli errori e individua le cause profonde dei mali che colpiscono i popoli: la malvagità che sta sotto l’agire umano, in tutte le sue componenti, “capi, sacerdoti, popolo”. Il linguaggio di questi libri è quello della ‘tradizione sacerdotale’. Così il peccato è definito in termini cultuali: “contaminarono il tempio”. Ma ben sappiamo cosa significhi ‘contaminare il tempio’. Si pensi al linguaggio  del profeta Geremia, citato due volte in questa pagina, a proposito di cosa significhi profanare il tempio del Signore (Ger 7,1-15): culto e ingiustizie non possono stare assieme, le une contaminano l’altro! Mediante la Parola, annunciata dai profeti Dio mette in guardia e educa il suo popolo: “Il Signore Dio dei loro padri mandò premurosamente ed incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché amava il suo popolo e la sua dimora”. Di fronte alla sua incessante e premurosa azione educatrice, ecco la risposta del popolo: “Si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore giunse al culmine senza più rimedio”. Ecco il risultato di non aver prestato ascolto a quella Parola e  di averla disprezzata: la distruzione di Gerusalemme. Quella Parola è attuale per ogni generazione: il credente è chiamato a giudicare alla luce di questa Parola, lasciandosi educare da Essa. E’ una Parola che mostra la fedeltà di Dio che parla ad ogni generazione invitando a fare scelte coerenti con l’amore che Dio ha per ogni uomo e per ogni popolo. E l’annuncio della ricostruzione del post-esilio sta pure a mostrare che Dio continua “incessantemente e con premura” a prendersi cura dell’umanità, ridando continue opportunità.

Salmo 136. “Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia”

E’ curioso l’accostamento del ritornello del salmo che parla di gioia, mentre il salmo fa memoria della situazione di esilio, di scherno, di pianto. Il salmo 136 nasce dal cuore di chi ha sperimentato una situazione di oscurità, di sofferenza, di disperazione. Rinarrando quella situazione priva di canti di gioia o suoni di cetre allora, ma ricca solo di pianto, da dove è venuta la forza per sopravvivere e sperare? Era ancora la certezza di sentirsi popolo di Dio, con la sicura speranza che Dio si sarebbe ancora ricordato del suo amore e sarebbe intervenuto come in passato: Gerusalemme ancora amata dal suo Signore, fedele  alle antiche promesse, sarebbe tornata a rinascere!

Ef 2,4-10. “Per questa grazia siete salvi mediante la fede”   

Altra grande pagina dell’amore di Dio, ora manifestato in Cristo. Pagani ed Ebrei erano tutti in situazione di perdizione senza scampo. L’intervento di Dio “ricco in misericordia”, è mosso dall’immensa carità verso di noi, che eravamo morti per i peccati. E’ proprio dell’amore di Dio amare gratuitamente, non per i meriti; questo: “per grazia infatti siete stai salvati”. E’ in Cristo che si è manifesta la ‘grazia di Dio’: l’incarnazione, la morte in croce, la risurrezione e il battesimo cristiano come partecipazione a tutti questi misteri. Per sua grazia dunque siamo strappati da rovina sicura! Grazia che va però accolta, aggiunge Paolo“per mezzo della fede. E ciò non viene da noi ma è dono di Dio”. Credere vuol dire ricevere, accettare ciò che Dio dà, senza nessun vanto dell’uomo. Ma cos’è questo “vanto” che l’apostolo cerca di escludere ad ogni costo? E’ l’atteggiamento dell’uomo che intende affermare se stesso e non riconosce ciò che gli viene offerto. La “grazia” della salvezza è opera di un Altro, e quindi non c’è posto per chi crede di essere salvatore di se stesso. “Siamo opera sua, creati per le buone opere che Dio ha predisposto perché le praticassimo”: rigenerati dal battesimo, opera sua, noi siamo in grado ora di compiere “le opere buone”. La vita battesimale, dono di Dio,  è fonte del nuovo comportamento: non vivere questa ‘vita nuova’ è frustrare il suo dono di grazia! 

Gv 3,14-21. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito perché chiunque crede non muoia ma abbia la vita”

Il punto centrale del brano del vangelo è: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il modo si salvi per mezzo di Lui”. Questa affermazione è chiarita dal riferimento ad un episodio del tempo dell’esodo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Mosè, nel deserto, per ordine di Dio aveva innalzato la figura di un serpente ad un palo, affinché ogni israelita che fosse morso dai serpenti velenosi, guardando quel simbolo con fede, restasse in vita. L’evangelista Giovanni utilizza questi tre elementi e li collega strettamente all’opera di Gesù: La sua morte in croce (innalzamento del Figlio dell’uomo) rientra nel piano di Dio (bisogna che sia innalzato) ed è un evento che ha valore e potenza salvifica per l’uomo, destinato diversamente  alla morte eterna (come gli israeliti morsi dai serpenti) purché ci si rivolga a Lui con fede (come gli israeliti che dovevano volgere lo sguardo verso il serpente innalzato). E’ una sintesi dell’intero messaggio della redenzione. All’origine di tutto ci sta l’amore di Dio che si manifesta nel dono che egli fa all’uomo di partecipare alla vita divina e perciò eterna. Tale dono di vita ci arriva per mezzo del suo Figlio, la cui morte è salvifica per l’uomo, lo libera cioè dalla morte eterna e lo introduce alla comunione con Dio. Per la fede in Cristo l’uomo ha parte alla vita divina. Con l’invio del Figlio è superato l’abisso che separa il mondo da Dio. Il mondo è per l’evangelista non solo la dimora degli uomini, dove Dio ha inviato il Figlio, ma anche l’umanità peccatrice che si è allontanata da Lui. L’invio del Figlio ha di mira esclusivamente la salvezza, non il giudizio e la condanna. “Chi crede in lui non è condannato”. Il giudizio-condanna si consuma nell’incredulità: “…ma chi non crede è già stato condannato perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”. Chi non crede cioè si trova in situazione permanente di condanna, di autocondanna. Ecco l’urgente appello di questa pagina del vangelo: abbracciare le fede piena in Gesù, Cristo, Figlio di Dio, affidarsi a Lui e seguire il suo insegnamento per entrare così nella vita. Con Gesù “la luce é venuta” e gli uomini si trovano nell’alternativa di accoglierla “seguire la luce” o rifiutarla “preferire le tenebre”. In questa scelta si matura il giudizio nella storia di ognuno. L’attaccamento al male (tenebre) è l’ostacolo all’accoglienza del messaggio e della persona di Gesù e quindi anche del dono della vita divina. 

+ Adriano Tessarollo

“da Nuova Scintilla n.11 del 15 marzo 2015”