PAROLA DI DIO – Questi è il mio figlio. Ascoltatelo!

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PAROLA DI DIO – Questi è il mio figlio. Ascoltatelo!

Letture: Gn22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 116; Rm 8,31b-34; Mc 9,2-10

Gn22,1-2.9.10-13.15-18: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo figlio…”

Tutta la “Storia di Abramo” (Gn 12-25) è imperniata sulla promessa di Dio di una discendenza e di una terra in cui vivere (Gn 12,1-3). La risposta di Abramo è qualificata come ‘fede’ cioè come fiducia totale in quella di Dio e di conseguenza come obbedienza alla sua parola (Gn 12,4a). La promessa di Dio è rinnovata in Gn 15,1-5, dove Abramo risponde ancora con la sua fede obbediente (Gn 15,6: “Egli credette al Signore”). Ancora in Gen 17 e 18 Dio rinnova le sue promesse e Abramo gli rinnova la sua obbedienza. Finalmente al capitolo 21, quando ormai Abramo e Sara sono vecchi, arriva l’erede, Isacco. Ismaele viene allontanato. Tutto il futuro di Abramo è racchiuso nel figlio Isacco. Ed ecco la grande prova, il punto culminante della storia di Abramo, la ‘prova qualificante’ la fede di Abramo: “Abramo… prendi il tuo figlio, il tuo unico prediletto figlio, e offrilo in olocausto”. Immaginiamo le obiezioni sorte nella mente e nel cuore di Abramo. Quell’unico figlio in cui cominciava a compiersi la promessa ora gli viene chiesto di offrirlo in sacrificio! Nessuna obiezione: “Abramo si alzò di buon mattino… prese con sé il figlio Isacco… e si mise in viaggio… costruì l’altare, collocò la legna… prese il coltello per immolare il figlio”. Ecco la fede e l’obbedienza di Abramo! Ma ecco anche il senso di quella richiesta da parte di Dio: “Ora so che tu temi Dio fino a non rifiutarmi il tuo figlio…”. Ma il figlio gli è restituito! La richiesta del Signore non è il sacrificio del figlio, ma la fede obbedienza di Abramo. Questo racconto rappresenta anche il superamento della pratica dei sacrifici umani, non richiesti dal Signore, attraverso un sacrificio sostitutivo di un animale, come atto di culto con il quale l’uomo manifesta il suo amore e la sua obbedienza al Signore. Non passerà molto tempo quando i profeti dichiareranno che ai sacrifici materiali del culto Dio preferisce la pratica dell‘amore e della giustizia: ‘misericordia voglio e non sacrificio’ (Os 6,6). È in questa luce che va compreso anche il “sacrificio” Gesù.

Salmo 116 (115): “Camminerò davanti al Signore nella terra dei viventi”.

Di questo salmo vengono utilizzati il v. 9 come ritornello e i vv.10.15, 16-17 e 18-19 come strofe. Il salmista fa riferimento ad una situazione di prova mortale ma in essa la sua fede, messa alla prova, non ha vacillato, come fu per Abramo (v.10). Ma Dio è intervenuto in suo aiuto e lo ha liberato. A questo punto la preghiera di invocazione diventa ringraziamento espresso nel culto pubblico al tempio, davanti al Signore e alla sua comunità. L’azione di Dio è azione di liberazione, anche dalla morte, attraverso la risurrezione, come ha fatto per suo Figlio Gesù.

Rm 8,31b-34. “Egli che non ha risparmiato il proprio figlio… non ci donerà ogni cosa insieme con lui?”.

Il brano proposto è preso dal capitolo 8 della lettera ai Romani che ha per tema la nostra liberazione dal peccato e dalla morte per mezzo dello Spirito del Cristo risorto. Liberati dal peccato per una vita di santità (8,1-17) e liberati dalla morte per “per la gloria futura” (8,18-27). Ecco il disegno di Dio per noi: “…chiamati secondo il suo disegno, da sempre fatti oggetto del suo amore, predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, … giustificati… glorificati… tutto concorre al bene di coloro che amano Dio…” (8,28b-30). Si tratta di un disegno di Dio che coinvolge il credente nel suo amore e nella sua vita divina alla maniera del suo stesso Figlio! Contemplando il grande amore di Dio per l’uomo che nella fede e obbedienza a lui si affida, l’apostolo Paolo esplode in una serie di interrogativi che vogliono allontanare nel credente ogni dubbio o timore nei confronti di Dio che non deve essere sentito “contro l’uomo”. Ne vogliamo una prova? È il dono estremo del suo Figlio donato per noi! Non l’uomo sacrificato a Dio, ma Dio si è fatto e si fa dono all’uomo! Ora Gesù Cristo risorto intercede per noi accanto al Padre.

Mc 9,2-10. “Questi è il mio figlio prediletto; ascoltatelo”.

La ‘trasfigurazione’ di Gesù è avvenuta di fronte a tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. Essi erano presenti quando Gesù aveva richiamato alla vita la figlia di Giairo (Mc 5,37) e più tardi saranno pure presenti, seppur a qualche distanza, al ‘combattimento’ con cui Gesù, al Getsemani, accetterà nella preghiera di compiere fino in fondo, fino allo spargimento del suo sangue, la missione salvifica che il Padre gli ha affidato (Mc 14,33). Ci son tre protagonisti. Primo è Gesù di cui si dice che “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime, come nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. In quelle ‘vesti bianchissime’ i discepoli sono indotti a riconoscere nell’umanità di Gesù la realtà ‘divina’ della sua persona. Appaiono poi Mosè ed Elia, figure che riassumevano in sé la Legge (Mosè) e i Profeti (Elia), cioè la totalità delle Sacre Scritture, che annunciavano l’attesa del Messia. Dunque i tre discepoli sono invitati a riconoscere in Gesù il Messia atteso del quale parlavano le Scritture. I tre discepoli sono presi da grande gioia per quanto stanno sperimentando circa la presenza del Messia atteso: “Facciamo qui tre tende…”. Ma alla fine arriva il terzo e principale protagonista, Colui la cui voce esce dalla nube (Es 19,16), cioè il Dio della Rivelazione, che fa la rivelazione più alta su Gesù e indica loro l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!”. I discepoli ora sono confermati nella loro fede in Gesù: Egli è l’inviato di Dio, è suo Figlio, il suo Servo. Lui dovranno seguire e ascoltare. A questo punto tutto improvvisamente finisce, e non vedono e non sentono nient’altro se non “Gesù solo con loro” che ordina loro di “di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti”. Essi “tennero per sé la cosa, domandandosi però cosa volesse dire risuscitare dai morti”. Essi comprenderanno pienamente questa esperienza solo dopo l’esperienza pasquale nella quale “sono stati testimoni oculari della sua grandezza” come dirà Pietro nella sua lettera (2Pt 1,16), esperienza nella quale Gesù è stato manifestato loro come Messia e Figlio di Dio, il Maestro che dovevano “ascoltare” e seguire anche in quel cammino che Gesù aveva subito prima preannunciato: “il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani … poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare” e che Pietro, a nome di tutti, aveva tentato di rifiutare. Dopo la Pasqua gli apostoli si faranno essi stessi annunciatori ai futuri discepoli di Gesù che la tribolazione, l’oscurità, la lotta e la morte non devono farci smarrire il senso di Dio, di Cristo e della sua realtà, ma che tutto ciò diventa la via alla gloria della risurrezione come vittoria su ogni forma di male e partecipazione alla vita e comunione divina.

+ Adriano Tessarollo

“da Nuova Scintilla n.9 del 1 marzo 2015”