In margine alla “Venerabilità” di Raimondo Calcagno, padre filippino chioggiotto

Facebooktwitterpinterestmail

In margine alla “Venerabilità” di Raimondo Calcagno, padre filippino chioggiotto

Visse da prete “santo”

Conclusa la solenne Celebrazione eucaristica di sabato 14 febbraio 2015, presieduta nella chiesa dei Filippini dal vescovo Adriano e concelebrata con l’arcivescovo Dino De Antoni e con una ventina di sacerdoti, è emersa in coloro che hanno conosciuto, stimato e amato il Venerabile Servo di Dio Padre Raimondo Calcagno una scia luminosa di bontà, di carità, di amore.

La sua dedizione alla volontà divina cominciò presto: nella mura domestiche, a contatto della mamma, sua prima guida e provvida educatrice; con i giovani di Azione cattolica fortemente sensibili a una nuova presenza sulla scena italiana dei cristiani; nel seminario – più tardi – come guida spirituale e negli istituti religiosi portando ovunque la testimonianza di fedeltà a Cristo e di impegno nella via della santità. Proveniva da una famiglia umile, ma dignitosa: i suoi genitori erano dotati di una fede dalle radici profonde. Alla loro scuola egli crebbe nella convinzione che il dovere cristiano è quello di aiutare i fratelli nel bisogno e di condurli sulla strada che porta a Dio.

Venni a conoscenza che, molto riservatamente, donava ai ragazzi più poveri parte del suo cibo: seguiva l’esempio di quanto aveva visto nella sua famiglia, nell’ambiente che frequentava, negli insegnamenti del grande san Filippo Neri.

Divenne sacerdote il 28 marzo 1914: aveva 26 anni. Fu pronto ad affrontare ogni sacrificio per Cristo e per l’umanità. I suoi superiori, i confratelli ringraziavano il Signore per averli fatti degni di un simile sacerdote. Raccoglieva i ragazzi poveri e sbandati della città nell’Oratorio-Ricreatorio S. Filippo Neri, prestando la sua opera – in seguito – anche nel Patronato S. Gerolamo Emiliani, in favore dei fratelli più sfortunati. Fu questa una dura esperienza, che lasciò tracce profonde in lui.

La malattia – per cui dovette ricoverarsi più volte in vari ospedali – l’aveva segnato fisicamente, ma non moralmente, perché aveva compreso ancora più a fondo il valore della sofferenza. Non diede mai peso a questo handicap, che lo condusse a una completa donazione di sé ai fratelli, ringraziando il Signore e sottomettendosi alla di lui volontà, sicuro che Dio lo avrebbe ricompensato (“la mia ricompensa è Dio”).

A Chioggia, come a Verona e in un piccolo tentativo anche a Palermo, fu disponibile per ogni servizio portando la luce di Cristo a tanti malati, a tanti preti, a tante anime sofferenti; ma il ruolo più importante che prediligeva fu quello di confessore e di guida spirituale nel quale, grazie alle sue capacità e alla sua umanità, divenne punto di riferimento per molti. Aveva la capacità di lenire le angosce e togliere le incertezze dei penitenti e, insieme, di confortarli.

La mia conoscenza dell’amato Padre ritorna indietro nel tempo: cioè negli anni in cui egli assisteva nel Ricreatorio i ragazzi poveri e analfabeti, quando cioè – tornato dalla città scaligera – si era ripreso il ruolo di “nonno fabulatore” con l’antico fervore.

Si poteva già avvertire che non era un sacerdote come gli altri: era obbediente alle regole della Comunità, puntuale negli impegni, sempre disponibile a fare ogni cosa, anche gli umili lavori che la conduzione di un Ricreatorio comportava.

Il Signore gli aveva fatto dono di un cuore grande e generoso, grazie al quale avrebbe dato la vita per gli altri. Egli aveva ricevuto da Dio le virtù della misericordia e della giustizia e a piene mani, senza mai risparmiarsi, le donava a quanti ne avevano bisogno. Onorava il culto di tutti i Santi: era legato profondamente a quelli dell’Oratorio; amava in modo particolare la Vergine Maria, di cui si sentiva figlio. Affermava che non basta parlare di carità, bisognava viverla, concretizzarla. Considerava la morte fisica come “la porta del cielo, che infonde in noi sensi di fede commovente, di gioia tranquilla, di pace sovrumana”. Visse da vero prete, da prete “santo”, nel totale disinteresse per ogni bene materiale e per ogni ambizione di potere; voleva essere sempre pronto alle domande di aiuto dei più poveri, dei più bisognosi.

Fu impareggiabile nell’apostolato della preghiera che per lui era una pratica fondamentale, filo diretto che stabiliva con Cristo. Ricorda mons. Angelo Monaro, suo allievo spirituale: “La preghiera era il suo respiro, il suo riposo, la sua vita, la sua gioia”.

Visse gli ultimi scampoli della sua vita, prima della partenza verso il Cielo, come un faro di luce per gli amati fanciulli, i “so fioi”, i cari ex Allievi ormai divenuti uomini, i preti e le religiose che accompagnava nel loro ministero, i laici che a lui accorrevano per un aiuto, un consiglio, un incoraggiamento.

Fu ricercatissimo sia per l’opera di riconciliazione, sia per quella di predicazione: non soltanto rasserenava i cuori sofferenti, ma lasciava sempre dietro di sé una scia luminosa d’amore. Tanto che la Chiesa lo sta ora rivalutando, avendone riconosciuto le virtù vissute in modo eroico. Ecco il titolo di “Venerabile” concesso da papa Francesco il 7 novembre 2014!

R. Chiozzotto

“da Nuova Scintilla n.9 del 1 marzo 2015”