ALLA SCOPERTA DELLA BIBBIA (52)

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ALLA SCOPERTA DELLA BIBBIA (52)

Lettera agli Ebrei

L’origine di questa lettera è piuttosto misteriosa. Pur non portando l’intestazione di una lettera ne ha però la finale, con tanto di saluti e di commiato. In realtà lo scritto assomiglia più a un trattato che a una lettera, anzi probabilmente si tratta di un’omelia. I manoscritti più antichi sono anonimi, nessuno sapeva con certezza chi ne fosse l’autore, anche se molti l’attribuivano a Paolo, cosa oggi considerata poco verosimile, perché non ne riflette né lo stile, né il pensiero. L’analisi interna del testo dice che: l’autore conosce Timoteo (13,23); ha molta familiarità con le idee di Paolo; conosce a fondo l’Antico Testamento che cita secondo la versione dei Settanta (la Bibbia greca); scrive in un greco forbito ed è un abile maestro di retorica. Tutto questo consente di affermare che lo scritto è opera di un giudeo ellenista che viveva nella diaspora, probabilmente a Roma. L’autore si rivolge a ebrei di lingua greca, ed è una persona che ha riflettuto a lungo sui rapporti tra cristianesimo e giudaismo
.

Il titolo «Agli ebrei» è antico, ma potrebbe anche non essere originale. Il contenuto – che parla di sacerdozio, di sacrifici ed è intessuto di citazioni veterotestamentarie – induce a pensare che fosse indirizzata a un gruppo di giudeo-cristiani, persone di un certo livello intellettuale convertitesi al cristianesimo (2,3; 13,7) e passate attraverso la persecuzione. Avrebbero dovuto essere dei cristiani maturi, capaci di insegnare agli altri (5,11-6,2), e invece se ne stavano ripiegati su se stessi e sembravano addirittura intenzionati a tornare al giudaismo. Era quindi necessario ricordare loro che quanto possedevano in Cristo era molto più prezioso dei riti giudaici. L’autore sembra non conoscere la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, quindi la lettera molto probabilmente è stata composta prima del 70 d.C.

Lo scritto presenta una struttura letteraria molto elaborata. Tra l’introduzione (1,1-4) e la conclusione (13,20-24), il testo si articola in cinque parti e una dossologia finale. La prima parte tratta dell’identità di Cristo, mostra la superiorità di Cristo rispetto agli Angeli e ne deduce la necessità di aderire a lui (1,5-2,18). La seconda parte illustra i due caratteri di Cristo sacerdote: la fedeltà e la misericordia (3,1-5,10). La terza parte chiarisce perché il sacerdozio di Cristo è superiore a quello antico: Gesù è l’unico sommo sacerdote che è riuscito a mediare in maniera effettiva e definitiva la salvezza (5,11-10,39). La quarta parte tratta del difficile legame tra vita e preghiera, e della perseveranza nella testimonianza della fede anche nelle sofferenze e nelle persecuzioni (11,1-12,13). Infine la quinta parte presenta alcuni consigli pratici per la vita cristiana e invita a condurre una vita retta e santa (12,14-13,18). La dossologia finale, che assume la forma di una benedizione e di un augurio, allarga l’orizzonte ai credenti di ogni epoca impegnati nella testimonianza di fede in Gesù Cristo, Pastore grande delle pecore (13,20-21).

L’autore cerca di far capire ai suoi destinatari che non devono rimpiangere nulla delle istituzioni salvifiche dell’Antico Testamento, perché esse sono state assunte e superate nella persona di Cristo. Gesù è incomparabilmente più grande e superiore al culto veterotestamentario; è il sacerdote perfetto che offre il sacrificio perfetto; è colui che ha finalmente eliminato le barriere del peccato e aperto agli uomini la via della salvezza in un modo che l’antico culto sacrificale non avrebbe mai potuto fare. I credenti devono avere la certezza che per mezzo del sacrificio di Cristo sono stati non solo purificati da tutti i peccati commessi prima del battesimo, ma anche santificati una volta per sempre (10,10). I credenti possono e devono accostarsi con le loro debolezze al trono della grazia (4,16), poiché hanno un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede (2,17). Il sacrificio di Cristo supera tutti, la sua espiazione è la migliore, il suo santuario celeste è al di sopra del santuario della terra. In definitiva Cristo sostituisce in meglio tutte le istituzioni salvifiche veterotestamentarie. Paolo aveva già dimostrato che in Cristo si superava la Legge, la lettera agli Ebrei dimostra che anche l’istituzione cultuale è stata assunta e superata. Non ci sono quindi ragioni per un cristiano di tornare al giudaismo.(52. segue)           Gastone Boscolo