PAROLA DI DIO – Natale

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PAROLA DI DIO

La sua tenda tra di noi

Sir 24,1-4.12-16: “Fissa la tenda in Giacobbe…”

La ‘sapienza’ che qui prende la parola è insieme una realtà umana e divina. Siamo “nell’assemblea dell’Altissimo”, nel Tempio, dove il popolo è radunato e con linguaggio liturgico al v. 10 si dice la Sapienza abbia “officiato (celebrato la liturgia) nella tenda santa”. Questa ‘Sapienza’ trova un luogo privilegiato nella ‘tenda’. Essa è contemplata nella sua origine divina: esce dalla bocca di Dio, come la parola di Dio; ha la sua dimora nelle altezze, cioè presso Dio, da dove scende nel mondo. La Sapienza viene “dall’alto” scriverà san Giacomo (Gc 3,17). È dono di Dio da richiedere nella preghiera, come ha fatto Salomone: “Donami (o Dio) la sapienza, che siede in trono accanto a te” (Sap 9,4). Scende dunque da Dio all’umanità e nell’umanità va cercando fra tutti i popoli un luogo dove abitare. E benché si sia manifestata in tutti i popoli, solo in Israele ha trovato riposo, in particolare nella città amata, Gerusalemme, dove essa ha spostato la sua tenda: partita da presso Dio, dove era presente prima della creazione, ora ha posto la tenda in Israele. La Sapienza ha un ruolo nella creazione e nella rivelazione:“Il creatore dell’universo mi diede un ordine, il mio creatore mi fece posare la tenda e mi disse: Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele”.

La realtà della Sapienza, insieme realtà divina e umana, prepara il terreno alla rivelazione del Verbo di Dio che si fa carne, come ce ne parla san Giovanni, nel brano evangelico, parlando del Figlio di Dio, Parola del Padre fatta carne: increato, partecipe alla creazione, con Dio regge il mondo, mediatore della comunione tra il popolo e Dio, uscita dalla bocca dell’altissimo!

Sal 147: “Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi”

L’estasiata esclamazione giovannea fa da ritornello contemplativo alle strofe del Salmo 147 che si apre con l’invito rivolto al popolo a lodare il Signore. Fanno seguito sette motivazioni alla lode del Signore (la liturgia ne tralascia tre). Nella storia d’Israele e della rivelazione in esso avvenuta si possono leggere le azioni salvifiche di Dio in favore del suo popolo: egli protegge il suo popolo, lo benedice, mette pace in esso, fa produrre frutti abbondanti alla terra… parla al suo popolo, gli dà leggi sagge e vitali. Il Verbo incarnato è oggi il centro, nel quale si concentra l’azione salvifica di Dio per gli uomini e nel quale Dio si è manifestato e comunicato ad essi. La lode è per quanto Dio opera in Cristo a vantaggio del suo popolo, che “in Lui è benedetto”.

Ef 1,3-6.15-18: “Possa egli davvero… farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati”

La grande benedizione solenne apre la lettera agli Efesini (3-6) per poi continuare con il ‘ringraziamento’ (vv. 15-18). La ‘benedizione’ dell’apostolo sale a Dio per quanto Egli ha operato per noi in Cristo. Dio è il“Padre del Signore nostro Gesù Cristo”: “Signore” è titolo divino, “nostro” definisce la profonda relazione che si è stabilita tra lui e noi, “Gesù” richiama la realtà umana, “Cristo” ne dice la missione di salvatore. Ecco la nostra confessione di fede in Gesù. L’esistenza del cristiano è contemplata come“benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo”. La benedizione è azione di Dio attraverso lo Spirito (spirituale). La benedizione di Dio, ‘nei cieli, a noi data in Cristo ci annuncia la nostra partecipazione alla sua condizione celeste di risorto. È questo mistero d’amore donatoci in Cristo che fa scaturire dal cuore dell’apostolo l’inno di benedizione a Dio quale gioioso rendimento di grazie. Siamo stati da Lui pensati e scelti da “prima della creazione del mondo”. Scelti ad essere “Santi e immacolati davanti a lui nella carità”, cioè intimamente uniti a Cristo e partecipi della sua santità; per questo siamo degni di stare alla presenza di Dio e capaci di relazioni nuove riassunte nel termine “carità”.“Predestinandoci ad essere suoi figli…”: Dio ci vuole come suoi figli e lo siamo realmente perché lo siamo “attraverso Gesù Cristo”, cioè con quel legame profondo che ci unisce a lui e che è tutta la novità della condizione del cristiano. Questa straordinaria vocazione del cristiano ha la sua sorgente unicamente in Dio “secondo il beneplacito della sua volontà”. In Cristo Dio ci sceglie, ci destina alla santità e alla filiazione divina. In tutto ciò consiste la sua ‘lode e gloria’, perché in ciò si manifesta la sua benevolenza che suscita la riconoscenza e la lode. I vv. 15-16 sono il ringraziamento dell’apostolo per la sua comunità:per la sua fede nel Signore e il suo amore verso la Chiesa tutta che egli vede presente in essa, quale dono di Dio. Dal ringraziamento si passa poi all’intercessione per richiedere il dono di una illuminazione interiore dello Spirito che conduca dall’esperienza iniziale ad una conoscenza più profonda di Dio e ad un’adesione sempre più piena alla vocazione che in Cristo Dio ha rivolto ai credenti. Possano soprattutto riconoscere “qual è la speranza cui sono chiamati”, cioè quella di condividere con tutti i santi la stessa eredità del Figlio di Dio. Tutto questo ci è stato fatto conoscere dallo stesso Figlio di Dio.

Gv 1,1-18:Pose la sua tenda fra di noi

Alla luce delle due letture precedenti e del salmo, questa pagina evangelica ci parla della prossimità di Dio manifestata nel Verbo incarnato:“Egli pose la sua tenda fra di noi”.La vicinanza della divinità dà a noi la possibilità di divenire partecipi della sua divinità: “A quanti l’hanno accolto ha dato il potete di diventare figli di Dio”.In Es 33,3.5, dopo il peccato del popolo, descritto nel racconto del ‘vitello d’oro’, Dio dice:“Ma io non verrò in mezzo a te per non doverti sterminare… se per un momento venissi in mezzo a te io ti sterminerei”.Il popolo si rimise in cammino, ma la tenda del convegno, segno della presenza di Dio e luogo dell’incontro con lui, fu posta fuori dell’accampamento degli Israeliti. La radice shkn (abitare) riecheggia nei vocaboli greci skenòo e skèné che significano “porre la tenda” e “tenda”. Essi sono impiegati per la Sapienza che in Sir 24 riceve l’ordine di porre la sua tenda fra gli uomini. Ora quei termini li ritroviamo riferiti al ‘Verbo di Dio incarnato’ in Gv 1,14:“Il Verbo si fece carne e pose la sua tenda (eskénosen) tra di noi”.Anche la Sapienza svolgeva il suo ruolo di mediazione dell’alleanza attraverso la liturgia “nella tenda santa” (Sir 24,1-15) e attraverso la legge mosaica (Sir 24,22). Nel quarto vangelo il Verbo incarnato è la Presenza di Dio tra gli uomini. Questo è il mistero dell’incarnazione: in Cristo c’è la manifestazione della benevolenza, della presenza, della gloria, della parola, della verità di Dio che torna tra gli uomini. Ponendo la tenda “in mezzo a noi” egli è il nuovo santuario, sacramento della presenza di Dio non più fuori dal suo popolo ma in mezzo ad esso. Ciò rende possibile la nuova comunione con Dio, così piena che diventa un partecipare alla sua vita divina:“A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”.Qui l’accento cade sulla necessità di accogliere il Figlio di Dio e la sua parola come via per aver parte alla condizione di figli suoi.

oIn questa domenica del tempo di Natale siamo invitati a fissare il nostro sguardo sul mistero della prossimità-abbassamento di Dio in Cristo che produce il ristabilimento della comunione dell’uomo con Dio in una pienezza così inattesa che innalza l’uomo alla condizione di figlio di Dio: accogliendo il Figlio si apre per noi l’ingresso alla vita divina.

+ Adriano Tessarollo