Siate sempre lieti

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PAROLA DI DIO / Domenica III di Avvento (del vescovo Adriano)

Siate sempre lieti

Letture: Is 61,1-2.10-11; 1 Tess 6, 16-24; Gv 1, 6-8.19-28

Is 61,1-2.10-11:«Gioisco pienamente nel Signore»

La scelta liturgica di alcuni versetti di Is 61 (1-2a.10-11) è motivata dall’atmosfera di questa terza domenica di Avvento nella quale contempliamo ormai vicina la festa del Natale. Nei primi versetti di Is 61 il profeta, autore di queste pagine bibliche (Is. 56-66, che convenzionalmente chiamiamo ‘Terzo-Isaia’), descrive la sua chiamata e la sua missione di profeta: portare il lieto annuncio della salvezza nell’imminente in­tervento di Dio a favore degli afflitti, dei cuori spezzati, dei prigio­nieri. Sorgente e sostegno delle sua missione è lo Spirito del Signore che scenderà su di Lui. Egli è quel Servo del Signore di cui leggiamo in Is 42,1ss., sul quale pure il Signore aveva posto il suo Spirito per abilitarlo alla mis­sione di consolazione e liberazione degli israeliti prigionieri ed esuli.

Il profeta annuncia l’anno di misericordia del Signore: era l’anno giubilare in cui venivano cancellati i debiti e veniva restituita la libertà agli schiavi. Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21) proclamerà il programma della sua missione proprio con queste parole: pieno di Spirito Santo proclamerà il tempo del perdono di Dio e della liberazione dell’uomo da tutti i suoi mali. L’efficacia della missione del profeta è fondata su Dio stesso. Questa missione è portatrice di gioia, vissuta dal profeta stesso e dalla comunità cui si rivolge: il Signore appare come lo sposo che si cinge il diadema nuziale e va incontro alla sposaGerusalemme rivestita degli abiti nuziali della ‘giustizia’ e della ‘salvezza’. Dunque l’incontro del popolo col suo Signore è gioia, come l’incontro della sposa con lo sposo. Lo spirito dell’Avvento è dunque attesa gioiosa, anche in mezzo alle tribolazione, è attesa della salvezza e della giustizia di Dio. E’ gioia per il credente che ha origine in Dio e nell’attesa dell’incontro con lui.

Lc 1,46-50.53-54 (Cantico del Magnificat):

“La mia anima esulta nel mio Dio”

Vengono scelte, come risposta all’annuncio del profeta Isaia, solo le affermazioni salvifiche dell’inno del “Magnificat”. La comunità dei credenti in Cristo è chiamata a condividere la gioia per l’evento che, nelle venuta di Gesù, ha inaugurato il tempo della salvezza. Certo il cantico si adatta bene ad esprimere la gioia di Maria dopo che Elisabetta l’ha proclamata ‘madre del Signore’ in riferimento al bimbo che aveva in seno, ma esso si presta bene anche a cantare la gioia del cristiano chiamato a contemplare l’intervento misericordioso nel quale anche oggi Dio continua a mostrarsi salvatore. Ciò fa esplodere il canto, il giubilo, il ringraziamento di chi attende la manifestazione della sua misericordia che raggiunge tutti e che rimane in eterno. La sua salvezza continua a raggiunge oggi i piccoli ma fedeli suoi servi, come allora ha raggiunto Maria, sconosciuta ragazza di umile condizione di un piccolo villaggio. D’ora in avanti resta valido il principio del ‘servizio’, prefigurato in Maria serva del Signore e realizzato in pienezza nel Signore Gesù: il nuovo popolo è come Maria “servo del Signore”, oggetto della perenne misericordia di Dio.   

1Ts 5,16-24: “Siate sempre lieti”

A conclusione della lettera alla comunità dei Tessalonicesi, l’apostolo Paolo rivolge loro alcune esortazioni molto importanti per la nuova comunità. Oggi ne ascoltiamo alcune maggiormente attinenti al tema di questa terza domenica di Avvento. “Siate sempre lieti, pregate in continuità, in ogni circostanza rendete grazie”. La triplice esortazione alla gioia, alla preghiera e al rendimento di grazie non è semplicemente l’esortazione dell’Apostolo ma esprime “la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi”. Questi atteggiamenti caratterizzano la vita spirituale di ciascun credente, perché essi hanno stretto riferimento al Signore Gesù, della cui attesa Paolo ha parlato poco prima (4,13-5,11). La gioia deve prevalere sulla tristezza perché per il credente in Cristo la vita è attendere il suo Signore, Gesù Cristo, per essere sempre con lui. La preghiera incessante è la condizione perché si possa restare vigilanti nella pratica dell’amore che dà solido fondamento alla speranza di essere partecipi della sua vita. Infine il rendimento di grazie in ogni cosa o circostanza scaturisce dalla consapevolezza che Dio sta costruendo il nostro futuro di gloria anche là dove è presente la fatica, l’insuccesso, l’attesa. Quello che vuole Dio da noi lo impariamo da Gesù Cristo: Egli, pieno di gioia, ha compiuto la volontà del Padre (Gv 15,11), vivendo incessantemente unito al Lui nella preghiera (Lc 11,1-13), in atteggiamento di ringraziamento anche di fronte a ciò che umanamente appariva come insuccesso (Lc 10,21-22). Altro atteggiamento da coltivare è l’ascolto dello Spirito: egli è in azione, suscita doni di profezia ed è principio interiore di discernimento, dando la capacità di vincere anche il male. Paolo prega affinché la totalità della persona, «spirito, anima e corpo», sia santificata da Dio (5,18) riconoscendo che la santificazione del credente è opera di Dio e la sua garanzia sta nella stessa fedeltà di Dio.

Gv1,6-8.19-28: “Doveva render testimonianza alla luce”

Il brano evangelico sceglie due tratti del capitolo primo che si riferiscono a Giovanni Battista e alla sua testimonianza su Gesù. “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce” (6-8). Giovanni è ‘mandato da Dio’ per portare un messaggio speciale da parte di Dio, che è già prefigurato nel suo nome: ‘il suo nome era Giovanni’ , che significa “Dio è (fa) misericordia”. Giovanni è inviato dunque per annunciare la misericordia di Dio che si rivelerà nella persona e nell’opera di Gesù Cristo. L’uomo, per camminare sulla strada buona e non smarrirsi nell’oscurità delle tenebre, ha bisogno della luce. Giovanni Battista ‘Venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce’. Ai contemporanei che cercavano il vero cammino da seguire il Battista ha indicato Gesù; ai cristiani che non vedono chiaramente il contenuto della  fede e rischiano di abbandonarla il vangelo indica oggi Gesù come la ‘vera luce degli uomini’. Ogni uomo, di qualunque origine o condizione, trova in Cristo la luce che lo orienta verso il pieno senso della vita. Questo significa che Gesù è ‘luce vera’. Il secondo tratto del brano evangelico (Gv 1,19-28) si sofferma sull’esperienza storica del Battista: agli inviati dei giudei che interrogavano il Battista su chi egli fosse, egli rispose parlando di ‘un Altro’ che era in mezzo a loro e che loro ancora non conoscevano: è Lui, Gesù, che essi devono scoprire, conoscere e seguire. Il cammino della fede comincia con l’interrogarsi su ciò che Gesù è, fa e dona di diverso e di più grande di ogni altro uomo, sia pure di un inviato di Dio come è lui, Giovanni Battista. La sua missione è di portare i suoi ascoltatori all’incontro con Gesù, per poi uscire di scena. Sant’Agostino ci fa notare che Giovanni è la voce (Gv1,23), Cristo è la Parola (Gv1,1); Giovanni è lampada (Gv5,35), Cristo è la luce vera (Gv1,9), la luce del mondo(Gv8,12).  Giovanni è colui che orienta a Cristo; la sua persona e la sua missione sono totalmente ordinate a Colui che deve venire. Così deve essere per chiunque è mandato a portare altri all’incontro con Cristo: nessuno ne deve prendere il posto, ma deve farsi servo di quell’incontro.  (+ Adriano Tessarollo)

 

da NUOVA SCINTILLA 47 del 14 dicembre 2014