Viviamo nell’attesa della beata speranza della venuta del Signore nostro Gesù Cristo

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PAROLA DI DIO / I Domenica di Avvento, anno B (del vescovo Adriano)

Letture: Is 63,16-17; 64,1-7; Sl 79; 1 Cor 1,3-9; Mc 13,33-37

 1. Is 63,16b-17.19b; 64,2-7.  “Dio nostro Padre, nella tua fedeltà che mai viene meno,

ricordati di  noi, opera delle tue mani…” (colletta). 

Il brano di Isaia si apre e si chiude con una confessione di fede “Signore, tu sei nostro padre”. Questa confessione dà il tono alla confidente preghiera collettiva del popolo ebraico che si trova a vivere tra la speranza della ricostruzione e la delusione dei risultati finora raggiunti. Chi farà uscire il popolo dall’attuale difficile situazione? Dio nell’esodo dall’Egitto si è rivelato liberatore. “Da sempre ti chiami nostro redentore”, prosegue l’invocazione che si trasforma in grido di liberazione. La catastrofe dell’esilio ha appannato la speranza e demolito la fiducia del popolo che Dio possa salvare ma poi ha prodotto una pacata comprensione degli eventi della catastrofe esperimentata: Israele ha riconosciuto le sue responsabilità per quella situazione. Alla fine è rinata improvvisamente la speranza e la fiducia, per opera di un profeta che ha aiutato a leggere alcuni segni come manifestazione che Dio è ancora all’opera per il suo popolo.

Ma anche ora la ricostruzione è difficile, fatta di ostacoli sempre nuovi, ostilità esterne, contrapposizioni interne, cose tutte che rendono difficile la ripresa. “Ritorna per amore dei tuoi servi… Tu vai incontro a quanti praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie”. La vita ora diventa attesa di quel Signore che nella storia precedente era venuto a salvare come “quando tu compivi cose terribili che non attendevamo”. La memoria degli eventi salvifici passati era stata dimenticata e con ciò era stata cancellata anche la speranza, sembrava non esserci futuro. “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore…”. E’ il Signore che può riportare il suo popolo sulla via dell’incontro con lui e dargli un cuore capace di invocarlo, riconoscerlo e incontrarlo. Ecco scaturire la preghiera di invocazione e di appello: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi!”, ma anche la confessione del colpevole allontanamento dal proprio padre e creatore: “tutti noi siamo opera delle tue mani”, con le disastrose conseguenze: “Siamo divenuti tutti come cosa impura e panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia: tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portati via come il vento”. Cosa fare? L’incontro è possibile se anche l’uomo ritorna al suo Dio, dal quale solo può essere salvato, con il quale solo può costruire il suo futuro di speranza.

 

Salmo 79.  “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”

Alla parola del profeta fanno eco alcune espressioni del salmo 79, pressante invocazione a Dio, che venga come pastore a guidare il suo gregge che va errando senza una guida, come coltivatore che torni a prendersi cura della sua vigna abbandonata: “Tu, pastore,… vieni in nostro soccorso… guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna”.

 

2. 1Cor 1,3-9: “… e donaci l’aiuto della tua grazia…” (colletta).

L’apostolo Paolo si rivolge alla comunità di Corinto lodando Dio per la benevolenza che egli ha mostrato verso di loro che hanno accolto il Cristo nella fede: “Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni…”. In Gesù di Nazaret Dio si è fatto compagno dell’uomo nel mondo, per amore, si è fatto presenza benevola, misericordiosa. Suoi dono sono la Parola del Signore e la conoscenza dei disegni di Dio. Ora la loro vita ha preso un nuovo orientamento: è protesa all’incontro finale con lui. Da lui viene la rassicurazione di rimanergli fedeli, in mezzo alle vicende umane con le loro possibili seduzioni: “Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”. L’attesa dell’incontro con Lui diventa quindi serena e fondata nella sua chiamata: “Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo Signore nostro”. La venuta storica di Gesù Cristo, punto di riferimento per i Corinzi, ha dato un orientamento nuovo alla loro vita di credenti, compresa ora come un andare incontro al Signore nostro Gesù Cristo. Illuminati quindi da questa Parola, anche noi come i Corinzi di allora, viviamo in rendimento di grazie (eucaristia), accompagnati da lui e dai suoi doni in attesa che la comunione con il Signore, che ora viviamo nel Sacramento, diventi piena e definitiva. 

3. Mc 13,33-37. “…perché attendiamo vigilanti con amore irreprensibile la gloriosa venuta del nostro redentore” (colletta).

Centro del messaggio di questa pagina del vangelo è il monito di Gesù: “Vegliate”, ripetuto quattro volte. La parabola ne spiega il significato. In essa i termini chiave sono le due coppie di parole ‘padrone/servi’ e ‘vegliare/dormire’. Un ‘padrone di casa’ parte per un viaggio, affidando prima la custodia della sua casa ai servi. La figura del ‘portiere’ attira l’attenzione sul verbo ‘vigilare’. Il padrone un giorno ritornerà e si attenderà di trovare i suoi servi all’opera, intenti a fare ciò che ha affidato ad ognuno e in conformità con la sua volontà. Il discepolo operoso e responsabile non ha da temere l’imprevedibilità del momento del ritorno del Signore: la consapevolezza di stare facendo in ogni momento ciò che il Signore si aspetta, lo fa attenderne il ritorno con serenità. Come ha richiamato il profeta Isaia, il ritorno del Signore non è temuto ma invocato come venuta di un Liberatore e di un Padre che “va incontro a quanti praticano la giustizia” e che, come ricorda san Paolo, “Vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”. “Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: vigilate!” (v. 37). Questa frase, riportata in tutti i vangeli, presenta dunque l’atteggiamento della vigilanza, come per le prime comu­nità cristiane, come necessità vitale per ogni cristiano. Nella parabola i cinque verbi usati da Gesù – ‘state attenti’ (v.33) e ‘vegliate’ (v.33.34.35.37) – dicono l’atteggiamento della Comunità di coloro che in Gesù hanno ricono­sciuto l’avvicinarsi del Regno, dove ciascuno ha ricevuto da Gesù il proprio compito e la propria responsabilità da vivere come un essere servi con gli altri del Signore. La vigilanza è dunque obbedienza e attivo esercizio del proprio compito, della propria re­sponsabilità, del proprio ministero. L’ora del ritorno del padrone non è conosciuta, ma non deve trovare ‘fuori posto’. Il riferimento alla notte simbolicamente può alludere all’ora inattesa, quella del ladro: anche in quell’ora può bussare invece il padrone! Viviamo e operiamo sempre da “figli della luce e figli del giorno” (1Ts 5,5).  (+ Adriano Tessarollo)

 

da NUOVA SCINTILLA 45 del 30 novembre 2014