La fede nelle opere

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Domenica 28 settembre alle 16 in cattedrale l’apertura del nuovo Anno pastorale. Terza fase del programma triennale

La fede nelle opere

“Con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2,18). Questa espressione presente nella Lettera dell’apostolo Giacomo sintetizza il contenuto del programma pastorale del nuovo anno, che domenica prossima 28 settembre alle 16 in cattedrale, nell’ambito della celebrazione liturgica del Vespro, mons. Vescovo presenterà a tutti i presbiteri, i consacrati e i fedeli laici della Diocesi. Si tratta del punto di arrivo di un percorso durato tre anni e ben articolato nell’opuscolo “Signore, dammi quest’acqua”. A partire dall’atto di fede, cui siamo costantemente richiamati come risposta personale e comunitaria all’appello del Signore, in questi anni abbiamo scoperto il significato e il valore dell’appartenenza alla Chiesa, nell’esperienza concreta di una comunità cristiana.

Ora lo stesso atto di fede e l’appartenenza alla Chiesa vanno sostanziati di quel vissuto umano, familiare e sociale che testimoni la fecondità dell’incontro con il Signore e della sua sequela. Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” riprende pensiero ed espressioni di Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Paolo VI e Giovanni XXIII, nell’indicare il percorso della testimonianza nel quarto capitolo che ha per titolo “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”. È necessario ritornarci su, perché se la dimensione sociale dell’evangelizzazione “non viene debitamente esplicitata, si corre sempre il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice. Il contenuto del primo annuncio ha un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità” (nn. 176-177). Quando fu chiesto a Gesù di descrivere la prossimità, egli offrì il volto di uno straniero che seppe chinarsi sulle ferite del fratello, e, meglio ancora, si è identificato in quel fratello perché, come disse espressamente, “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

La nostra Chiesa si interrogherà quindi sulla modalità con cui ha ottemperato a questo imperativo etico, scoprendo le ricchezze di grazia e di creatività accumulate nell’esperienza di questi anni. Sono forme nuove di dialogo con il territorio, di collaborazione con l’ente pubblico, di risposta alle povertà vecchie e nuove che non hanno mai cessato di bussare alla sua porta. E avvertirà l’urgenza di integrare fede e opere perché la sua preghiera non sia innalzata da mani vuote e il suo impegno nel mondo non sia pura filantropia o gestione manageriale delle emergenze sociali. E ciò che si afferma per la comunità diventa vero per ogni battezzato che intenda vivere con coerenza la propria adesione a Cristo. Non solo i catechisti e gli animatori liturgici ma anche gli operatori della carità, soprattutto quelli che coraggiosamente osano sul fronte della solidarietà e della compassione, sono espressione di una Chiesa viva e di un’autentica identità cristiana. Tutti saremo quindi inviati ai fratelli perché “vedano le nostre opere buone e rendano gloria al Padre nostro che è nei cieli” (cfr Mt 5,16).  (don Francesco Zenna)

 

da NUOVA SCINTILLA 35 del 21 settembre 2014