SPECIALE CARITAS

Facebooktwitterpinterestmail

SPECIALE CARITAS

Proposte e iniziative d’avanguardia nel territorio attorno alla Caritas diocesana

-Un’estate accanto alla fragilità

-Alcune storie difficili…

 

 

 

 

 

 

 

Un’estate accanto alla fragilità

Tra i molti percorsi formativi che comunità cristiane e realtà associative hanno proposto, come animazioni estive parrocchiali e campi scuola, ci sembra opportuno portare a conoscenza una particolare esperienza che la Caritas Diocesana ha vissuto nel tempo estivo, soffermando la nostra attenzione in quel mondo così particolare e così vicino alle porte delle nostre case e chiese che definiamo il mondo delle fragilità adulte.

Cosa intendiamo quando parliamo di adulti fragili? Potremmo così definirli: “persone che non tengono un lavoro, non riescono ad essere abbastanza autonome nella vita quotidiana, hanno comportamenti impropri e disturbanti; è il caso tipico di chi si piazza davanti alla chiesa o al supermercato e chiede soldi; sono sempre alla ricerca di una sussistenza economica, presentano sintomi di disturbi mentali, commettono piccoli reati”.  Quasi mai i servizi sociali sono nelle condizioni per far fronte a situazioni così complesse; per scarsità di personale, mancanza di risorse, poco tempo a disposizione. Da parte loro, i servizi sanitari sono oberati da un numero crescente di disturbi diagnosticabili medicalmente, finendo per concentrarsi nella cura e nella riabilitazione degli utenti più gravi da punto di vista specificatamente sanitario. Nelle pieghe dei nostri paesi vivono sempre più persone in queste condizioni di esclusione; sono una massa anonima. Il loro nome è “Legione” come disse l’uomo di Cesarea a Gesù, perché costituiscono una moltitudine. Queste vite di scarto sono il prodotto di una serie di fattori che attraversano le nostre città e i nostri paesi: povertà e violenze, abbandoni, migrazioni forzate e perdite di lavoro. Le chiamiamo e le definiamo come le nuove forme di sofferenza urbana: senza casa, rom, disturbarti psichici, dipendenti da sostanze o/e da comportamenti compulsivi, rifugiati, migranti, minori abbandonati. Queste persone a volte (molte volte!) hanno la certezza di essere dentro un territorio flipper, dove si è continuamente rimandati da un servizio all’altro, da una competenza ad un’altra, da un ufficio all’altro.  Dal Sert alla Psichiatria; dai Servizi Sociali delle municipalità fino ai Centri di Ascolto delle Caritas parrocchiali o Vicariali. Il sistema dei Servizi e l’integrazione socio sanitaria che dovrebbe aiutare, pare a volte un grande flipper. Una città, un quartiere che fa rimbalzare le vite sofferenti in servizi/spazi diversi, ciascuno dei quali si occupa di un segmento ma che fa fatica a cogliere la multiproblematicità all’interno della stessa persona. Prima o dopo, in questo continuo rimbalzo, si prende la traiettoria che ti porta diritto diritto nella buca definitiva: quella che t’ingoia del tutto e ti fa sparire. Se hai fortuna a puoi giocare delle palline di riserva, inizi così con un altro tentativo; altrimenti ti fermi con un punteggio che non ti permette di trovare soluzioni. Quest’estate abbiamo condiviso con alcune di queste tipologie di persone, cammini di accompagnamento e di riscatto per l’acquisizione di spazi di indipendenza, anche perché il tempo estivo rende più visibili queste forme di marginalità.  Abbiamo tentato di coniugare la parola prossimità dentro un accompagnamento e un’accoglienza. Queste persone le abbiamo conosciute quando loro stesse hanno posto questa domanda arrivati al fondo della loro storia: “Ho bisogno di un lavoro e di una casa”, o più asetticamente i servizi ci hanno detto: “Questo avrebbe bisogno di una casa e di un lavoro”. Si, è vero. Da dove iniziare? Il terribile binomio casa/lavoro ci mette subito in difficoltà perché non hai né l’uno né e l’altro. Ma la sfida non poteva essere ignorata soprattutto come Caritas e come Chiesa in un tempo nel quale Papa Francesco ci richiama alle periferie come luoghi privilegiati per l’incontro con l’altro e per una credibile testimonianza cristiana. 

Abbiamo tentato di rovesciare la tradizionale ipotesi di lavoro sociale che prevedeva la ricerca (impossibile) del lavoro (chi dà lavoro allo sbandato?), poi la casa, poi l’inserimento sociale, poi il buon comportamento. Un’ipotesi non più proponibile: con questa mentalità le persone venivano ancor di più marginalizzate; la visibilizzazione di questa modalità marginalizzante è tutta nel tentativo di dare a queste persone case diroccate, dormitori o containers che con una buona dose di incompetenza abbiamo chiamato spazi abitativi (dentro i quali nessuno di noi normali ci andrebbe ….)

Potrà sembrare banale, ma abbiamo semplicemente fatto il ragionamento inverso: la casa subito, come atto fiduciario e premiante e, nel contempo la stipula di un patto economico-educativo, attraverso la nuova figura dell’educatore socio immobiliare.  Così con quello che ora, con linguaggio più preciso, si chiama housing sociale abbiamo rischiato sulla capacità di recupero di alcune storie di vita.  Tutto ciò ha portato ad un primissimo tavolo di lavoro con alcune amministrazioni comunali che – preso atto di queste esperienze, con le loro luci e i chiaroscuri – hanno chiesto alla Caritas un confronto anche per rimodellare alcune direttive dei servizi sociali inerenti alla casa e più propriamente all’abitare come luogo e spazio non solo fisico ma di riscatto personale e sociale, quindi identitario. La casa, le case … non sono luoghi dove solo si abita, ma diventano spazi dove ri-costruire la propria identità umana, psicologica, sociale e spirituale. Importante anche l’impianto economico di questa operazione che si sta sostenendo perché ha messo insieme soggetti che a vario titolo, hanno contribuito alla sopportabilità economica delle locazioni e delle varie spese e sono in sequenza: Caritas Diocesana e Caritas Italiana, Regione del Veneto, Centro Servizi del Volontariato, Amministrazioni Comunali.

 

 

Quattro esperienze per quattro nuove possibilità di riscatto e di vita

Alcune storie difficili…

B.C.   La storia di B.C. è significativa di come l’intera famiglia del soggetto sia portatrice di un disagio che si trasmette come una sorte di dna. Una famiglia da sempre seguita dai Servizi Territoriali con sussidi di vario genere; in più anche la nostra (Caritas) la  distribuzione di cibo ha cronicizzato una condizione di dipendenza.   B.C. è stato per molti anni ospite di un Centro di Accoglienza, ma la sua condizione di dipendenza da sostanze sembrava non cambiare: occasionali incontri al Servizio Dipendenza dell’Asl con periodi di alternanza tra calma e crisi devastatrici. Inutile dire, che l’ipotesi lavoro non era nemmeno proponibile…   B.C. è nostro conoscente perché qualche volta arriva in Caritas; con uno stratagemma affianchiamo un amico che in realtà altro non è che un nostro operatore che lentamente propone un patto tra galantuomini: noi ti diamo la casa, subito; e tu inizi un corso di formazione all’agricoltura che il Sert ti ha proposto, poi costruiamo insieme un cammino.  C’è il sì convinto e deciso di B.C.  La casa e il suo contratto la stipula l’Onlus Carità Clodiense che si fa garante del pagamento del canone di locazione e di eventuali danni allo stabile. I servizi sociali del Comune contribuiscono economicamente con un sussidio mensile che viene dato anche grazie alla garanzia che i soldi sono gestiti in collaborazione tra B.C. e la Caritas.  Il Servizio Dipendenze inizia un serie di incontri per la somministrazione di una terapia farmacologica. Oggi B.C. lavora in una Cooperativa Sociale Agricola e si occupa di agricoltura biologica, ha un suo degno stipendio, si reca regolarmente al Servizio Dipendenze dell’asl di appartenenza; ha una sia casa che gestisce nella più assoluta normalità.

 

A. V. – Conosciuto da tutti come lo sbandato di professione A.V. vive in una cantina e di lui si sono occupati i Carabinieri, la Polizia; mendica regolarmente fuori delle Chiese anche se i suoi luoghi preferiti sono i supermercati della grande distribuzione. Sorpreso più volte a sottrarre biciclette, ha nel suo curriculum un divieto di dimora emesso dal Tribunale, in alcuni comuni del veneziano. Da tutti considerato non più recuperabile. E’ lui che si avvicina a noi dopo aver saputo che avevamo avuto dei contatti con i Carabinieri che ci avevano illustrato la situazione. Qui la ricerca della casa è veramente un rebus, perché anche se viene presa in locazione dalla Caritas, appena i proprietari sanno che sarà lui il condomino, vi è un secco “no”. Invece della casa adattiamo un ambiente caritas che si presta almeno temporaneamente per l’ospitalità essendo provvisto di bagno e spazi per la notte. V.A. accetta il patto educativo che il nostro operatore propone: si va al Sert a cadenza prefissata, senza sgarrare. Nel frattempo i contributi che riceve sono rimpinguati anche dal nucleo familiare di appartenenza che si dichiara disponibile a sostenere l’onere economico per parte dell’affitto e delle spese di utenze. Ora A.V. sta facendo un Corso di Formazione professionale nel campo dell’agricoltura e spera entro breve di trovare una locazione.

P. L. – Segnalato dall’Associazione Speranza Lavoro, perché rimasto senza lavoro all’età di cinquanta e passa anni, ha uno sfratto esecutivo per una complicata storia di ignoranza a mancanza di suggerimenti giusti che avrebbero permesso di evitare lo sfratto. Ancora con Carità Clodiense si prende in affitto un appartamento e con una serie di contributi pubblici e semipubblici si garantiscono i primi 12 mesi di locazione. Nel frattempo beneficiando del Fondo Diocesano di Solidarietà P.L. lavora per due mesi presso una Ditta di commercio pesce all’ingrosso. P.L non è ancora uscito dal tunnel di un distacco dalla casa dove ha abitato da sempre, il lavoro resta precario, ma la nuova casa rappresenta per lui anche un nuovo inizio, un nuovo spazio dove ricostruire affetti e relazioni.

E. T. – La costruzione della sua marginalità è legata al fatto che dopo la nascita di un figlio disabile E.T. lascia una grande città del nord Italia (ci era andato dopo l’alluvione del 1951) e ritorna (solo) in un paese della nostra diocesi. E.T. non è riuscito a  ‘reggere’ la disabilità del figlio che non ha più visto; ciò ha comportato anche la rottura del legame matrimoniale perché la moglie è rimasta ad accudire il figlio in un Istituto per disabili gravi.  La casa che ha in paese, è in comproprietà con dei parenti che però la mandano fuori perché – senza lavoro – non riesce a pagare le utenze… Da circa cinque anni E.T. vive in un Centro di Accoglienza e l’alcool è il suo principale interesse oltre che il fumo di sigaretta. Al Servizio Dipendenze non vuole recarsi, anzi manifesta l’idea di bere sempre più, per assurgere ad una invalidità per poi avere una pensione e prepararsi alla morte (!). Dopo una caduta accidentale, l’operatore della Caritas riesce a stabilire un contatto anche per poterlo accompagnare alla riabilitazione dopo averlo ‘educato’ all’igiene del corpo; operazione complessa e difficile. Ora ET dopo un periodo di passi avanti è in una fase di stallo ……vorrebbe uscire dal Centro e tornare a casa sua, ma la casa ormai è inagibile e bisogna ripristinare le utenze che sono state sospese. Il caso è aperto. Buona la collaborazione con i Servizi Territoriali.

 

da NUOVA SCINTILLA 33 del 7 settembre 2014