Essere testimoni di Gesù Cristo

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Il patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia ha presieduto i riti nella solennità dei patroni Felice e Fortunato

Essere testimoni di Gesù Cristo

Mercoledì 11 Giugno, nella solennità dei santi Felice e Fortunato Mm., patroni della città e della diocesi, alle ore 18, in piazzetta Vigo, è iniziata la tradizionale processione, presieduta dal patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia, con la partecipazione del nostro vescovo Adriano, dei sacerdoti, fedeli, banda musicale cittadina, autorità civili e militari, con la presenza, altresì, di carabinieri in grande uniforme. Le statue dei Santi martiri erano scortate dalla locale Associazione Nazionale Marinai d’Italia e da marinai della Capitaneria di Porto. È seguita, nella cattedrale di Santa Maria Assunta, la solenne Messa Pontificale, presieduta sempre dal patriarca di Venezia e concelebrata dal vescovo mons. Adriano Tessarollo, dall’arcivescovo mons. Dino De Antoni e dai sacerdoti della città e della diocesi.

Partecipavano al rito liturgico – con numerosi fedeli – il sindaco avv. Giuseppe Casson, numerose altre autorità civili e militari, i decorati pontifici e dell’Ordine di Malta. All’offertorio sono stati portati all’altare i frutti del mare e della terra, mentre la bandiera della città di Chioggia, scortata da agenti della Polizia Locale e i vessilli dell’Ordine di Malta figuravano ai piedi del presbiterio. Nel corso della Liturgia i canti – tra i quali il “Va’ ti libra” e il “Dum Decus” – sono stati sostenuti dalla corale “mons. Vittore Bellemo”, diretta dal maestro Enrico Mainardi, con all’organo il m.o Alex Bacci.

Al mattino, sempre nella cattedrale, si sono susseguite le Sante Messe capitolare, dell’Unità Pastorale Centro Storico Nord e delle parrocchie della Cattedrale, Maria Ausiliatrice e San Giovanni Battista. Nella città, addobbata con i tricolori e con l’esposizione dei damaschi nelle abitazioni poste lungo il Corso, continuo è stato l’afflusso dei fedeli nella cattedrale per venerare le reliquie dei Santi patroni; parimenti animata è risultata la città, per la presenza della tradizionale fiera merceologica. (Foto Donaggio)   (G. Aldrighetti)

Riportiamo il testo dell’omelia pronunciata dal patriarca.

“Eccellenza carissima, grazie per l’invito. Cari fedeli, questa celebrazione liturgica in onore dei santi martiri patroni Felice e Fortunato, come ogni altra celebrazione, esprime la fede della Chiesa. E’, infatti, dalla preghiera della Chiesa che è possibile risalire alla sua fede; un esempio ci aiuta a comprendere, più di tante parole. Noi iniziamo la preghiera col segno della croce e così, attraverso di esso, diciamo la nostra fede in Dio-Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Nello stesso tempo, proprio segnandoci materialmente con la mano, diciamo la nostra fede nell’evento salvifico della croce.

Da ciò che la Chiesa dice e fa mentre prega possiamo, quindi, risalire alla fede che quella preghiera esprime.

C’è un rito liturgico che viene celebrato raramente tanto che, per molti di noi, è del tutto sconosciuto e, invece, a tale rito bisogna annettere grande importanza; sarebbe auspicabile, anzi, che ogni fedele potesse prendervi parte poiché, proprio partecipando ad esso, si allargano gli spazi della nostra fede battesimale e ci viene donata una più viva comprensione del mistero della Chiesa.

L’azione liturgica alla quale mi riferisco è la consacrazione di un edificio di culto; la chiesa costruita con pietre è il segno visibile della Chiesa edificata dai discepoli del Signore, ossia la comunità del Risorto.

Tutto per il cristiano ha inizio con l’annuncio o, meglio, con la testimonianza della Pasqua; le parole “martirio” e “martire” derivano infatti dal greco e significano, esattamente, “testimonianza” e “testimone”.

Nel suo primo discorso, il giorno di Pentecoste, Pietro afferma: “Questo Gesù [che voi avevate crocifisso], Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni” (At 2,32); i cristiani, quindi, sono i testimoni di Gesù, il Risorto.

Nel linguaggio di Paolo i cristiani sono abitualmente denominati “santi”. Ma i santi che hanno dato piena e totale testimonianza di fede sono i martiri, ossia i testimoni che mai si sono tirati indietro e, anzi, si sono offerti al Signore e hanno scelto Lui preferendolo alla loro stessa vita.

I santi di cui oggi facciamo ricordo sono i martiri Felice e Fortunato, patroni della diocesi; la tradizione ci dice che fossero due fratelli, forse mercanti, originari di Vicenza e che, recatesi ad Aquileia per ragioni di commercio, furono sorpresi in un bosco a pregare.

Il martirio avvenne intorno agli anni 303/304; siamo durante la persecuzione di Diocleziano e dalla passio ambrosiana risulta che, interrogati, Felice e Fortunato non negarono la loro fede. Proprio in quell’interrogatorio, Felice disse d’essere originario di una città non lontana da Aquileia, il che fece pensare a Vicenza.

Dopo che i due furono torturati a lungo per piegare le loro volontà, alla fine, vennero decapitati sulla riva del fiume Natissa. Essi confessarono nella maniera più eloquente e sublime la loro fede e a nulla valsero le lusinghe e le minacce; essi vennero uccisi tramite la decapitazione mentre, in ginocchio, si abbracciavano.

Ritorniamo, ora, alla consacrazione liturgica dell’edificio-chiesa di cui prima stavamo parlando. Essa si caratterizza tramite parole, gesti e riti significativi e si tratta di una celebrazione intensa e coinvolgente. Uno di questi momenti particolarmente toccanti è quello in cui vengono deposte e murate le reliquie dei santi ai piedi dell’altare; le reliquie si preferisce siano quelle di santi martiri e, immediatamente dopo, segue il canto delle litanie dei santi.

In tal modo la Chiesa esprime – anche tramite l’azione liturgica – il ruolo e il compito dei santi martiri. Essa ha a cuore, soprattutto, la santità dei suoi figli che non è qualcosa d’astratto o virtuale ma, al contrario, qualcosa di reale, concreto, personalissimo: Andrea, Stefano, Lucia, Agnese sono altrettanti volti del Cristo glorioso.

I santi nascono dalla croce di Cristo – il primo altare della storia -, ne esprimono la fecondità e l’attualità nel loro tempo; essi ci vengono incontro con volti e lineamenti propri ed irripetibili poiché ogni epoca della Chiesa è arricchita da questi amici del Signore e degli uomini.

Un’antichissima tradizione ci ricorda che l’eucaristia veniva celebrata nel luogo della testimonianza del martire. Ed ecco quanto attesta sant’Agostino, siamo alla fine del quarto secolo: “…non [ai martiri] sono elevati altari, bensì, in loro memoria, a Dio stesso, che è Dio dei martiri. Quale celebrante, officiando all’altare nei luoghi di sepoltura dei loro santi corpi ha detto mai: offriamo il sacrificio a te, Paolo, o Pietro, o Cipriano? L’offerta è fatta a Dio nei luoghi dove sono ricordati quelli che egli ha coronato: proprio da quei luoghi deve provenire la sollecitazione a uno slancio maggiore di carità sia verso coloro che possiamo imitare, sia verso colui del cui aiuto abbiamo bisogno per poterli imitare” (Agostino, Contro Fausto, lib. 20,21; CSEL 25,562-563).

La liturgia, quindi, ci attesta e fa rivivere un’antichissima tradizione che ci riconduce ai primi secoli e ci attesta come la Chiesa sia la comunità del Risorto, vivificata dallo Spirito e che in ogni tempo e luogo ci testimonia – fino all’effusione del sangue – l’amore per il suo Signore.

I santi, ma soprattutto i santi martiri, con la loro testimonianza fino all’effusione del sangue, sono espressione viva della fecondità della Pasqua di Cristo.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato afferma: “Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20).

E’ questo un richiamo forte a non cedere alla tentazione di andare verso una fede cristiana che voglia andare oltre Gesù Cristo, come se Lui non fosse più in grado di salvare il mondo e avesse bisogno della nostra originalità, del nostro “buon senso” e delle nostre forze. E qui ci viene anche ricordato come non si possa sfuggire alla testimonianza, al “martirio” cristiano: “…se hanno perseguitato me, perseguiteranno voi…” (Gv 15,20).

Si tratta allora d’esser vigilanti, di non cedere al miraggio di una fede facile, di una fede a misura d’uomo, ossia di una fede secolarizzata.

I santi martiri Felice e Fortunato – e prima e dopo di loro una schiera numerosissima di martiri – sono per noi maestri o, meglio, testimoni insuperabili e “aggiornatissimi” nel dire e dare sempre Gesù Cristo a tutti.

I martiri – in ogni tempo, agli inizi della Chiesa come anche oggi – ci ricordano che il cristianesimo o fede in Gesù Cristo non è una merce di scambio nei confronti del mondo. Essi ci attestano, ancor di più, che Gesù Cristo non è in svendita e che non esiste un cristianesimo a buon mercato. Il martire, in fondo, è semplicemente un cristiano che ha preso sul serio le proprie promesse battesimali, quelle promesse che ciascuno di noi ha fatto e, talvolta, vengono con troppa facilità negate.

Il martire, alla fine, è uno che ha il coraggio della verità mentre per noi il rischio è non essere più testimoni di Gesù Cristo ma del “buon senso” degli uomini e, poi, del senso comune; insomma, di essere coloro che attestano, senza troppo scomporsi, il “pensiero unico dominante” e magari sono pure contenti d’essere graditi ovunque (ma devono chiedersi se sono graditi a Gesù Cristo…).

C’è grande bisogno, dunque, di santi martiri che – sull’esempio di Felice e Fortunato – siano capaci di vivere e trasmettere l’unica novità che rimane, vale a dire la buona notizia del Vangelo”.                              

(+ Francesco Moraglia)

 

da NUOVA SCINTILLA 24 del 15 giugno 2014