Gesù pastore del gregge e porta dell’ovile

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO / IV domenica di Pasqua (del vescovo Adriano)

Gesù pastore del gregge e porta dell’ovile

Letture: Atti 2,14.36-41; 1 Pt 2,20-25; Gv 10,1-10

Nel capitolo 10 del vangelo di Giovanni Gesù ci parla di se stesso con delle immagini che oggi ci sono poco familiari. Egli si definisce “buon” o, meglio, “vero pastore e porta dell’ovile”, i suoi discepoli sono chiamati “pecore” e la comunità che egli raduna è detta “ovile”, quelli poi che minacciano la vita dei suoi discepoli sono detti “lupi” e o anche “falsi pastori, mercenari, ladri, briganti, estranei”. Dentro a questo quadro di vita pastorale Gesù descrive e interpreta la situazione degli uomini. Essi vengono a trovarsi nel mondo in una situazione che non è automaticamente di sicurezza e di salvezza. Senza una guida, gli uomini sono paragonati a un gregge che va errando senza pastore che lo conduca di giorno alle sorgenti dell’acqua e ai pascoli, e alla sera ad un ovile dove trovare riparo e protezione. Di fronte a questa situazione dell’uomo, Gesù si propone come ‘Pastore’, cioè come colui che si mette alla loro guida, può offrire loro nutrimento, protezione e salvezza.

L’idea di protezione e sicurezza è espressa con l’immagine dell’ovile, recinto protetto dove le pecore passano la notte al riparo dagli animali feroci e dai predatori. Per dove si entrava nell’ovile? Naturalmente per la porta! I recinti nel deserto erano fatti con delle fascine di legna legate assieme. Però una di quelle fascine rimaneva slegata in modo che chi vi doveva entrare la poteva rimuovere facilmente. I pastori conducevano le loro pecore alla sera in quel recinto e le affidavano a un guardiano che passava la notte con le pecore. Al mattino ogni pastore, proprietario delle sue pecore, si presentava, il guardiano apriva ‘la porta’ e ogni pastore chiamava le sue poche pecore per nome, le faceva uscire e le portava al pascolo. Chi invece andava a rubare di notte, scavalcava il rudimentale recinto, prendeva una o due pecore, le ammazzava e poi fuggiva. Così pure faceva qualche animale feroce. Il guardiano, di fronte a questi pericoli, cercava di scappare e mettere in salvo se stesso. Ecco perché Gesù si definisce vero pastore, perché si gioca la sua vita perché gli uomini “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”, affidandosi a Lui. Inoltre Egli si definisce la porta attraverso la quale si entra nell’ovile dove essi troveranno custodia e riparo da ogni pericolo, e potranno essere condotti da Lui alle sorgenti della vita. Chi non entra per quella porta, Cristo, entra per disperdere il gregge, la comunità dei discepoli. Il salmo 22 ci aiuta ad allargare gli orizzonti: l’ovile è la “Casa del Signore” dove “saremo suoi ospiti per sempre” (vita eterna); i pascoli e le sorgenti d’acqua sono il nutrimento della sua Parola e del Pane dell’Eucaristia con cui Gesù continua a nutrire i suoi discepoli; l’olio ristoratore è l’olio delle unzioni battesimale, crismale, sacerdotale, e degli infermi con cui siamo corroborati per il nostro viaggio verso la sua ”Casa”. (+ vescovo Adriano Tessarollo)

 

da NUOVA SCINTILLA 19 dell’11 maggio 2014