Tempo pasquale

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Tempo pasquale

I vangeli domenicali del tempo di Pasqua

Abbiamo davanti otto domeniche, per sette settimane: il Tempo di Pasqua dura cinquanta giorni, sette volte sette giorni, da Pasqua a Pentecoste. Col cinquantesimo giorno si apre il tempo dello Spirito, del compimento della Pasqua. “È così che il tempo di Pasqua, con la gioia prolungata del trionfo pasquale, è divenuto per i padri della Chiesa l’immagine dell’eternità e del raggiungimento del mistero del Cristo”. “La cinquantina pasquale è il tempo della grande allegrezza durante il quale si celebra la fase gloriosa del mistero delle redenzione dopo la risurrezione del Cristo, fino

all’effusione dello Spirito sui discepoli e su tutta la Chiesa nata dalla Passione del Cristo”. “I cinquanta giorni sono come una sola domenica. Gioia, rendimento di grazie, celebrazione della luce e della vita, tale è il tempo pasquale”. I vangeli domenicali privilegiano i racconti delle manifestazioni di Gesù dopo la risurrezione dei vari vangeli, attingendo dal vangelo di Giovanni gli ultimi insegnamenti di Gesù sul comandamento dell’amore, l’unione intima fra lui e suo Padre, la promessa di un altro consolatore, lo Spirito di verità, la grande preghiera sacerdotale per l’unità. Nel quarantesimo giorno si celebra l’Ascensione di Cristo al cielo, e i giorni che seguono sono una lunga preghiera per la venuta dello Spirito, in unione con i discepoli e la Madonna al Cenacolo.                  

+ vescovo Adriano

 

Si bagnavano gli occhi al suono delle campane

La Pasqua, culmine della Settimana Santa, è la più grande solennità per i cristiani, e prosegue poi con “l’Ottava”, ossia per otto giorni, e con il Tempo liturgico pasquale che dura sino alla Pentecoste. La Pasqua è la festa della gioia, perché ricorda che la Risurrezione di Gesù non era una vana promessa di un uomo ritenuto un esaltato dai contemporanei o – per altri – solo di un Maestro (Rabbi). La Pasqua è una forza d’amore che viene posta come lievito nella vita degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la nostra speranza di risorgere; ci dà, infatti, la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto. Nei tempi passati, prima del Concilio Vaticano II, la vera Giornata “particolare” era il Sabato santo per le funzioni religiose, e non la domenica, come avviene giustamente ora, poiché nelle chiese si anticipava alle prime luci dell’alba di tale giorno la Liturgia che ricordava la Risurrezione. Il motivo risiedeva nel perdurare dei tempi calamitosi e per le frequenti guerre, con evidenti pericoli per le popolazioni, specie nelle ore serali, quando non esisteva, oltretutto, sino alla fine del XIX secolo, l’illuminazione elettrica. Ancor oggi, in alcuni luoghi, per motivi particolari di ordine pubblico, sociale, religioso e politico, tutte le celebrazioni del Triduo pasquale si svolgono di mattina, come in Terra Santa e in particolare nella Basilica del Santo Sepolcro e della Risurrezione in Gerusalemme, dove il Patriarca latino presiede le sacre funzioni. Curioso, infine, osservare che in Chioggia, nel Pontificale di Pasqua del mattino del sabato santo, al canto del “Gloria” seguiva subito lo scampanio nella trecentesca torre di santa Maria; al suono prolungato delle campane, tutte le persone – secondo una secolare tradizione popolare di forte sapore scaramantico – si bagnavano gli occhi e coloro che ne avevano la possibilità si portavano subito, per compiere tale gesto, in cattedrale, per usare l’acqua da poco benedetta e posta nelle acquasantiere. (Giorgio Aldrighetti)

 

 

Pasqua in poesia

 

MATER DOLOROSA

La vidi

seduta accanto ad una croce:

nero era il velo

che le cingeva il volto

grigio di dolore.

Nei suoi occhi opachi

muta una domanda.

Io le risposi:

“Tuo Figlio è morto

per salvare il mondo!”

Le inumidì lo sguardo

un’intima emozione

e il suo trepido sorriso

fu promessa di speranza.

Luciana Sambo – Chioggia

(Gruppo “Poeti Città di Chioggia”)

 

PER L’ETERNITÀ

Nel calice amaro, lacrime

di sangue di già traboccano

e geme il corpo trafitto

da lame feroci e dallo scherno

di chi irride al cielo.

Invoca, la Voce, il nome

del Padre amato:

“Non mi abbandonare”.

Soffre la carne e giace

nell’agonia atroce

dell’uomo che muore.

Oscura è la terra e scossa

dall’esalato ultimo respiro

del Figlio diletto, sacrificato

agnello all’alba del mondo.

Ma già s’alza un canto

di mille angeli in cielo

che lassù attendono

colui che è risorto

per darci l’eterno

raggio di Luce.

Renzo Ranzato-Varisco – Chioggia

 

AI TUOI PIEDI, GESÙ

Hai portato la croce

al monte Calvario.

I chiodi ti hanno traforato

mani e piedi, lacerato il costato

prima di esalare l’ultimo respiro.

Il terzo giorno

il Cristo di Dio

ha lasciato la terra

per salire in cielo,

da dove veglia su noi

la Santissima Trinità,

Padre, Figlio e Spirito Santo.

Tre Persone in una

affinché la nostra voce

giunga fervente fino al cielo

e le nostre preghiere

possano portare pace e amore

in tutto il mondo.

Rossana Veronese – Chioggia

(Gruppo “Poeti Città di Chioggia”)

 

GESÙ E IL PICCOLO PETTIROSSO

Lungo il sentiero che porta al Calvario un uomo stanco si accascia più volte.

Con mano lesta un soldato lo picchia e quella fune sul suo corpo lascia il segno.

Da quelle labbra non un gemito esce ed i suoi occhi rivolti al cielo implorano pietà.

Pietà per lui che è stanco e sfiduciato, pietà per i suoi aguzzini.  

Sua madre lo attende ai piedi del monte: è stanca e non ha più lacrime,        

sorretta da Giovanni e dalle pie donne.

Prega, prega per quel Figlio tanto amato.

Per quel ripido sentiero solo un uccellino lo accompagna, anch’esso stanco ma fiducioso:

piccolo pettirosso che cerca di togliergli col piccolo becco le spine conficcate nel capo.                      

Si sporca il piccolo petto di quel sangue benedetto,

e rivolto a Dio Padre cade stordito ai piedi della croce.        

Maria lo accarezza piano piano,

lo stringe al proprio cuore

e rivolge lo sguardo al Figlio suo.                                

Un grosso boato e la terra trema paurosamente.

Tutti fuggono impauriti, ma Ella rimane, rimane a guardare          

il viso del Figlio suo, sfigurato dal sangue che scende giù,

mentre il piccolo pettirosso muore raggiungendo Gesù.

Lorenza Giro Banzato – Cavarzere

 

PASQUA

Xe qua la primavera co le viole,

xe qua, col pésse novo, le sardèle,

la zente se la gode a stare al sole

che fa perfin pi bele le putele.

El pescaore le so çime mole,

a isse, come l’oro, le so vele

e ogni barca sóra l’aqua svole

cofà che in çielo fa le rondinele.

Ancùo xe el Sabo Santo!… Se risvége

tuta la natura che dormiva

e nu vedemo mile maravége.

I sóne le campane in te la riva,

ognun ritrove in pase le famége

perchè risorge Cristo!… Gloria! Viva!…

Dario Gallimberti (1951)

 

PER LA PASQUA

De colombi un gran ziolare

za salude le campane

e mi stago ad ascoltare

proprio lóre che me ciame,

invitandome a pregare

perché Pasqua xe rivà.

Quante volte ch’ò scoltà

chél vecio campanile

co ‘l so angiolo là issà,

mugugnando per la bile

de no ‘vére le so ale

e, per questo, no puodèva

fare come a fèva elo

ch’ogni tanto a se zirèva

da la banda mia de mi

e mi, alora, ghe disèva:

“Lassa che vegna da ti

e te faga compagnia,

farò tuto come ti

e stando ‘rente casa mia

mirarò ‘sta bela Ciósa

ch’amo come ‘na morosa…”

Carlo Menetto (senza data)

 

UOMO DELLA SINDONE

Chi sei, volto sconosciuto,

che penetri nella mia mente?

Chi sei, che mi affascini,

che mi inviti alla silenziosa, di Te,

contemplazione?

Il tuo corpo,

irriconoscibile nella morte,

avvolto in un telo bianco,

fu deposto nel sepolcro.

Trascorrono secoli.

La tua immagine,

imprigionata in un candido lenzuolo,

conserva ciò che tu eri.

Uomo della Sindone:

simbolo emozionante

del mare sconfinato

della sofferenza umana.

Uomo della Sindone:

simbolo luminoso della speranza

e della consolazione cristiana.

Edda Cavallarin (2011)

(Gruppo “Poeti Città di Chioggia”)

 

FESTA DI FEDE

Se il chicco non muore,

non darà frutto.

Se Tu non fossi morto,

non saresti risorto,

non ci avresti salvati.

Domenica delle Palme

piena di gioia,

palme e ulivi

a festeggiare il Tuo passaggio,

ma la tristezza era in Te

che già sapevi.

Domenica di Pasqua,

scampanio di campane,

gioia nell’animo di tutti gli uomini,

dal buio antro del sepolcro

sei uscito sfolgorante di luce.

Ci hai redenti e circondati d’amore.

Ci hai presi per mano

per condurci con Te verso il cielo.

L’aria di primavera profuma di fiori,

d’ulivo e di incenso.

L’universo è in festa,

festa di gioia,

festa di fede.

Edda Boscolo (Adria)

 

EL SONIRÈ DE PASQUA

“Mama, l’à dito el Fiore

che ancuò no se sènte campane sonare”.

“Xe vero, xe la passion del Signore,

tre dì de luto se deve fare”.

“L’à dito anche che vegnirà

le berièghe pel paese via”.

“Sì, Tonin, debòto ti le sentirà:

‘ste robe no ti sa cossa che le sia”.

“’Ste berièghe cossa zéle?

Mai sentìe nominare!”

Le xe striche posae a rodèle,

girando, le fa tuto un gratare”.

“Mama, la xe la Setimana Santa questa,

quando fastu el pan consao?”

“Vago a tiòre l’ambuòlo da l’Ernesta,

dopo parécio el lievao!”

“Mama, me fastu un colombin,

come ano passao?”

“’Sto ano te fago un galetin,

co un vuovo tacao!”

“Quando che a vien dal forno,

un tochéto me lo posso tiòre?”

“No se può magnalo, storno,

fin che no resùssite el Signore!”

“Mama, anca i à dito

che sentiremo cantare el sonirè!”

“Sì, adesso stai sito,

debòto xe ora, xe quasi le tre”.

“Sonirè, sonirè,

l’ufizio del zioba santo,

el primo segno, andéve a pareciare!”

“Tonin, tazi, fenìssela co chél canto,

me pare de ‘vére sentìo sberiegare…”

“Sì, mama, ghe ze i fioi co le berièghe,

i deve èssare puoco distanti!”

“Meti a posto chéle carièghe,

andémo presto, se tiremo davanti”.

“Sonirè, sonirè,

l’ufizio del vènare santo,

vegnì a la predica de la passion!”

“Tonin, no incàntate tanto,

sinò catémo confusion!”

“Mama, un tòco de pan consao

me lo posso tiòre?”

“Ma noo!, fantolin,

ghe se dà le bòte al Signore!”

“Bona che la xe meza setimana sola,

sinò morirave da la vogia de pan consao…”

“Toni, a xe un pecato de gola,

disi un agnusdèi e ti sarà perdonao”.

“Sonirè, sonirè,

l’ufizio del sabo santo,

vegnì tuti al matutin”.

“Dài, sùgate chéi oci da pianto,

zó, da bravo, andémo, Tonin!”

“Mama, ancùo el Signore deve resussitare,

alora podarò magnare ‘sto pan consao!”

“Sì, però ti devi ‘spetare

che le campane èbia sonao!”

“Mama, sóne le campane,

bisogna lavarse el muso!…”

“Ti à fato ben a avisame,

no sentiva! Xe tuto serao dessúso?”

“Mama, al canale no se lavémo:

l’aqua xe tórbia, l’è nefanda!”

“Lavarse a la pompa, tuti dó pecao fémo!

La sporchità co le man se bute in banda!”

“Mama, andémo tuti dó,

ti fa la bolà neta in canale”.

“Adesso tiro ‘sta pignata zó!

Andémo, la xe ‘na benedission speciale”.

Guerrino Boscolo Seggionetto (1982)

 

da NUOVA SCINTILLA 16 del 20 aprile 2014