Un uomo salvato

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PARROCCHIA DELLA CATTEDRALE. L’incontro con don Vincent Nagle

Un uomo salvato

I ragazzi sono colpiti dall’accento americano e le persone più anziane tendono l’orecchio per afferrare una dizione che non arriva sempre nitida dall’altoparlante. Ma tutti rimaniamo sorpresi per la concentrazione dell’atteggiamento, per l’energia e la letizia che traspare in quest’uomo mentre racconta la sua esperienza viva e variamente drammatica. don Vincent Nagle ha passato una domenica in parrocchia della Cattedrale, dove ha celebrato le Messe, ha partecipato all’incontro dei fidanzati e ha tenuto la riflessione per un breve, affollato ritiro della comunità. Gli è andato a pennello il

Vangelo della Samaritana: nella località del pozzo di Sicar egli è stato parroco per alcuni anni; ha visto le donne recarsi al pozzo di primo mattino o verso sera, chiacchierando e spettegolando. Così ha capito che la notazione sulla samaritana che va ad attingere acqua a mezzogiorno è il centro della narrazione evangelica: la donna che si sottrae alle chiacchiere della gente e che a sua volta viene evitata da tutti (o quasi…) è la stessa che poi annuncia il Messia a tutto il paese, e così tutti la seguono fino a scoprire Cristo. Una donna salvata dal Signore. Ma la questione della salvezza non riguarda solo personaggi del passato. L’uomo salvato è lo stesso Vincent Nagle. Nasce in una famiglia americana, nella California degli anni ’60; la nonna è prima ballerina a Broadway; la mamma, ebrea figlia dei fiori; il papà, operaio irlandese, sindacalista e militante del partito democratico. La madre vede negli hippies una possibilità per sé e porta gli otto figli a vivere nella foresta. Una sorella diventa buddista, altri fratelli svolgono mansioni più o meno avventurose. Vincent a 16 anni incontra un gruppo cattolico. Quindi si fidanza e qualche tempo dopo lei lo lascia; si laurea in sociologia e materie classiche all’Università di San Francisco, lavora in Marocco e in Arabia Saudita. Diventa cristiano e consegue un master in teologia a Berkeley, entra in seminario a Roma e viene ordinato prete nel 1992 nella Fraternità di San Carlo. Si laurea in islamica nel 1994 e diventa cappellano d’ospedale negli Stati Uniti; dal 2006 al 2012 è in missione in Terra Santa. Oggi vive a Milano. Che cosa ci comunica don Vincent?                         Il cristianesimo come esperienza di salvezza. Ci salva l’incontro con Cristo. Cioè? Cristo dona un motivo per morire e quindi per vivere: è il ‘perché’ e il ‘per Chi’ della vita. Tante cose sono importanti e interessanti; tante cose premono. Ma dov’è l’essenziale? Per che cosa vale la pena vivere e morire? Si vive di gratitudine per Colui che ti dà la vita e l’amore che non finisce; per Cristo che ti lancia nella realtà con la decisione e con l’entusiasmo di viverla tutta intera. Cristo non risolve – né per don Vincent né per le altre persone – i problemi della vita. Quando guarisce il paralitico o i dieci lebbrosi, Egli sa bene che la salvezza è altra cosa: “La tua fede ti ha salvato”. Con questa esperienza è possibile guardare con amore ogni uomo. “Ad ognuno, come la samaritana, voglio annunciare Cristo salvatore”: a chi ci ama e a chi ci odia; a chi impone la nuova cultura dei sessi e le nuove direttive sulla famiglia. Un fatto, il più grande della storia, ci ha raggiunto, ci prende per mano e dà senso al presente e al futuro. Don Vincent lo racconta attraverso tanti episodi. Come la volta in cui, camminando nel corridoio dell’ospedale, sente provenire da una stanza le grida disumane e strazianti di una malata; entra, e non può fare altro che inginocchiarsi accanto al letto e gridare insieme a lei invocando lo Spirito Santo; ad un certo punto scopre che in quella stanza qualcosa di straordinario sta accadendo. Quello che era un grido disumano diventa umano. Dopo dieci ore la donna, rasserenata, si consegna a Gesù dicendogli: “Per te, Signore, tutto per te. Ti offro tutto”. Poco dopo muore. La salvezza che Cristo ci offre è un’umanità nuova, dentro la letizia e la sofferenza, e ci permette – come quella donna – di consegnarci alla felicità totale. (a. b.)

 

da NUOVA SCINTILLA 13 del 30 marzo 2014