Preti sereni e maturi

Facebooktwitterpinterestmail

“USCITA INVERNALE” DEI PRETI GIOVANI

Preti sereni e maturi

L’abbiamo chiamata l’uscita invernale per il gruppo dei giovani preti che nel cammino di formazione permanente si sono dati quattro appuntamenti annuali, andando un po’ in giro per l’Italia alla ricerca di confronti con persone e luoghi significativi.

Il nostro incontro è stato con il carisma e l’opera di un prete chioggiotto che ha fondato una piccola ma significativa Congregazione Religiosa, chiamati appunto i Padri Venturini. Padre Mario Venturini ha trovato a Trento il terreno adatto per una carisma molto particolare, cioè la cura dei sacerdoti. Cura spirituale ma anche morale, psicologica e fisica. Così ha esordito il Superiore Generale della Congregazione di Gesù

Sacerdote padre Gian Luigi Pastò (nella foto). L’intervento di padre Pastò (l’Istituto conta circa una quarantina di membri tra presbiteri e religiosi) è stato semplice ed essenziale e ha ricondotto la vita del prete dentro alcune coordinate sulle quali un po’ tutti sentiamo il bisogno di riflessione e confronto.

Sicuramente siamo chiamati a costruire una base pienamente umana, sulla quale costruire la vocazione al ministro, alla formazione e al servizio pastorale. Da chi provengo? Quale struttura psicologica e relazionale mi hanno dato i miei genitori e la mia cerchia parentale? Senza voler ridurre la complessità della vita sacerdotale in psicologismo, padre Gian Luigi ha indubbiamente posto l’accento sulla necessità di non aggregarsi al ministero ordinato e/o alla vita religiosa per sfuggire a problematiche tutte interne alla persona. Dare un nome ai propri sentimenti così è stato anche il momento del ritorno e del confronto di gruppo. Molte difficoltà nascono, crescono e si sviluppano quando non riusciamo a dare un nome (cioè confini precisi) ai molteplici sentimenti che sperimentiamo nell’impegno pastorale (rancori, delusioni ma anche affetti, simpatie e conflitti). Si può essere preti sereni e maturi? Certamente sì! Ciò esige la dimensione coltivata della cura: cura di se stessi, degli altri e delle relazioni che con gli altri instauriamo. Lavoro non sempre facile, perché speculare alla cura è la fuga, che assume svariate sfumature: la critica, lo scarico di responsabilità, il lasciarsi andare in una sorta di viaggio senza luoghi e senza tempi precisi e ritmati. C’è da sfuggire dalla tentazione che la vita del prete possa essere immutabile e che forme e sperimentazioni anche di lavoro comune e di progettualità condivise non siano attuabili.

Il lavoro formativo si configura come il tentativo di ‘ricucitura’ dei tanti strappi che la vita – anche quella religiosa ecclesiale, pastorale – provoca in noi. È questione di stile, testimonianza e di perseveranza. Insomma di maturità. Su questo percorso formativo stiamo lavorando come esperienza di preti in cammino. (mc)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 47 del 15 dicembre 2013