SPECIALE GMG RIO DE JANEIRO

Facebooktwitterpinterestmail

SPECIALE GMG RIO DE JANEIRO

1. Camminando s’apre cammino

2. La visita a Varginha

3. Nella Favela

4. La visita all’ospedale

5. Dentro la tv

6. Appuntamento a Cracovia

 

 

 

 

1. Camminando s’apre cammino

Ai bordi della GMG. Molte le domande nelle piazze delle città e del digitale: non mancheranno le risposte dei giovani

Cosa è accaduto ai bordi della Giornata mondiale della gioventù, come è stato visto un abbraccio le cui vibrazioni nell’anima sono andate oltre Copacabana, Rio de Janeiro e il Brasile? Come l’opinione pubblica ha seguito un papa in cammino tra l’oceano dei giovani e l’oceano delle onde? Come è stata accolta la comunicazione di un papa che ai piedi della croce ha parlato di Cristo ai giovani di sei continenti, tenuto conto che quello digitale è ormai a pieno titolo nell’esperienza della mondialità?

La gente, nelle città ancora trafficate o nei luoghi di vacanza, come ha accompagnato lo svolgersi di uno spettacolo in cui non ci sono stati copioni da recitare ma racconti di una vita in cui si sono uniti, come in un canto, il significato e la bellezza di credere, sperare, amare? Nelle piazze digitali, nell’intreccio invisibile delle connessioni, come si è inserito l’incrociarsi travolgente di relazioni e di volti?

Come, infine, hanno reagito i media presi spesso in contropiede da un evento spesso sfuggito a categorie interpretative e comunicative che hanno rivelato il loro affanno rispetto alla corsa di un papa e di milioni di giovani verso l’essenziale, verso il futuro, verso Cristo?

La gente si è accorta che qualcosa di imprevisto e molto strano è accaduto e si è chiesta come mai tanta vitalità, tanto futuro, tanto entusiasmo in una Chiesa che molti commentatori e opinionisti avevano dato per stanca, ammalata, triste e forse spacciata.

Due domande, a questo punto, sono sorte spontanee: perché un così clamoroso errore di valutazione e di previsione visto che si è assistito a un’irruzione di luce? Un papa, sorprendente come Francesco, è il solo autore di una novità che resta sotto gli occhi del mondo?

È stato lo stesso Francesco a dare una risposta da Copacabana: nel ricordare Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, per i quali ha suscitato un applauso di affetto e di gratitudine, ha richiamato la continuità e la grandezza della missione di Pietro, una missione che non conosce confini di tempo e di spazio. E non si può dimenticare che il seme delle Giornate mondiali della Gioventù è stato posto da Paolo VI nel terreno della Chiesa e del mondo.

Per ricordare il filo che unisce passato, presente e futuro, il papa ha scelto l’esperienza di Rio, vissuta anche altrove con pari intensità, dove la luce della fede, la “Lumen fidei”, pensata e scritta con il suo predecessore, è passata dalle pagine ai volti di milioni di giovani e di tutta la Chiesa.

La luce supera ogni frontiera, quella di Rio è arrivata anche tra coloro che erano ai suoi bordi e ha preso la forma di una domanda che abita, con ostinazione, il cuore dell’uomo: la domanda su Dio. Ed ora questo Papa, questi giovani, questa Chiesa continuano a suscitarla nella coscienza di ogni uomo e di ogni donna e offre una risposta che viene da una sintesi alta del vivere, del pensare e del credere.

Ai bordi della Gmg qualcosa di importante è avvenuto, magari timidamente e in silenzio.

Forse è solo l’inizio di un nuovo pensiero, forse è lo stupore davanti a un imprevisto paesaggio dell’anima, forse è la scoperta di se stessi, forse è il primo aprirsi di uno sguardo nuovo sul mondo e sugli altri.

Ai bordi della Gmg è iniziato un movimento. Occorrerà trovare linguaggi, occasioni e luoghi perché questa vibrazione continui, prenda sostanza e quota. Come per i giovani delle precedenti 27 Gmg anche per quelli di Rio c’è un compito a casa bello e irrinunciabile in compagnia di una Chiesa alla quale appartengono nella libertà, nella gioia, nella responsabilità. La luce di Rio è penetrata in quelle periferie esistenziali che, smentendo ogni pessimismo, sono abitate più da domande ultime che da insensibilità o indifferenza. Ai bordi della Gmg, c’erano e ci sono anche i media ai quali oggi viene indicato un diverso percorso verso la verità e il bene, un percorso che non li allontana dalle regole e dai linguaggi professionali ma li trasforma da trincee per una sorta di autodifesa a luoghi aperti di ricerca dell’essenziale. Si tratta di scegliere tra il piccolo cabotaggio dell’ideologia e dello stereotipo e il mare aperto del dialogo tra il pensiero, la vita e la fede.

I giovani di Rio sono consapevoli che questa svolta dipenderà in buona misura dalla loro testimonianza, dipenderà dalla luce che sapranno portare nei luoghi della quotidianità, là dove l’ordinario prende il sapore dello straordinario. È una grande avventura, è l’avventura cristiana che corre su strade che attraversano il mondo e arrivano alle sue periferie. Il cammino continua con quell’arrivederci a Cracovia che è memoria e futuro, impegno e gioia, preghiera e servizio. Camminando s’apre cammino, anche ai bordi di una Gmg. (Paolo Bustaffa)

 

 

 

2. La visita a Varginha

Il Papa in favela come “uno di loro”: povero fra i poveri

“Oggi a tutti voi dico: non siete soli, la Chiesa è con voi, il Papa è con voi”. Le parole di Papa Francesco risuonano sul campo di calcio completamente inondato di acqua. Vanno dritte al cuore degli abitanti della favela di Varginha che si trova a Nord di Rio de Janeiro. È voluto venire qui il Papa argentino, è voluto venire nella periferia di questa città per stringere in un unico abbraccio tutti i poveri del mondo.

 

“Non pensavamo che il Papa venisse qui”. È grande la sorpresa degli abitanti della comunità. La zona è soprannominata “La striscia di Gaza” a causa della forte presenza di criminalità e per l’uso di crack. Sono oltre 700 le favelas che si trovano sul territorio della città carioca, per una popolazione di circa 2 milioni di abitanti. Tantissime se si pensa che Rio de Janeiro ne conta 7 milioni. Sono disseminate praticamente in tutta la città. A Copacabana, per esempio, cuore in questi giorni della Giornata mondiale della gioventù, ce ne sono 5. Quella di Virgihna sorge ai margini di un’immensa fogna a cielo aperto. Sia durante il governo Lula che in quello attuale è stato avviato un programma di “pacificazione” realizzato, però, con un massiccio intervento delle forze armate per la “bonifica” del territorio da ogni forma di violenza e criminalità. Ma gli sforzi – dal punto di vista soprattutto sociale e umano – non hanno prodotto gli effetti sperati. Anche perché – come ha detto il Papa a Varginha – “nessuno sforzo di pacificazione sarà duraturo, non ci saranno armonia e felicità per una società che ignora. Che mette ai margini e che abbandona nella periferia una parte di se stessa”.

 

La voce della gente. Un cartellone appeso su un palo dà il benvenuto al Pontefice: “Bienvenido a nossa comunidade Papa Francisco”. È dalle cinque della mattina che gli abitanti lo hanno aspettato, pregando e cantando. Erano sette le famiglie sorteggiate per essere visitate dal Papa. Alla fine il Papa è entrato nella casa di Manoel José e Maria Luisa da Penha. “È stato un momento bellissimo – racconta Maria Luisa -. Io pensavo che non avrei trovato le parole per parlare con Papa Francesco. Eravamo sulla veranda io, mio marito, mia figlia e mia nipote, è stato tutto molto spontaneo e semplice, abbiamo chiesto la benedizione a Papa Francesco, gli abbiamo detto: sia il benvenuto qui, questa è la sua casa, questo è il messaggio che gli abbiamo trasmesso, e lui ci ha dato la benedizione”. “È una grande emozione – aggiunge un’altra signora al suo fianco – che Papa Francesco venga qui a benedire le nostre case. Ci aspettiamo ora che l’attenzione mediatica data da questa visita faccia anche migliorare le nostre condizioni di vita”.

 

L’impegno della Chiesa. La Chiesa brasiliana è fortemente impegnata sul fronte della lotta alla povertà. A Vargihna, ad esempio, opera la parrocchia São Jerônimo. Ci sono bambini qui che hanno imparato a leggere e scrivere grazie alle loro catechiste. “Il Papa – commenta il parroco Marcio Sergio de Queiroz – ha presa sulla gente per la sua semplicità, per le parole che dice. Lui si sente a casa nelle periferie. Compie gesti e dice parole che ci aiutano a concretizzare la Parola di Dio. Mi sembra che per questa comunità la parola che può riassumere meglio questa sua visita tra noi è solidarietà. La spinta affinché gli uomini riconoscano l’altro come fratello e sorella, si preoccupino per l’altro, gli stiano a fianco nei suoi dolori e nelle sue necessità, possano essere di aiuto”. L’arcidiocesi di Rio de Janeiro ha attivato da tempo una pastorale delle favelas. Il suo lavoro – spiega Jose M. da Rocha – punta a valorizzare l’uomo e la sua dignità e a risolvere i problemi legati alla povertà come le tossicodipendenze, l’abbandono dei minori, le donne sole, la mancanza di lavoro, a essere spesso quell’anello di congiunzione tra la favelas e le autorità pubbliche. “Papa Francesco – aggiunge – rappresenta una speranza per tutti i poveri non solo del nostro Paese ma del mondo intero”. La comunità di Vargihna e la Chiesa di Rio non saranno più le stesse dopo questa visita. Lo dice mons. Luiz Antonio Pereira Lopes, coordinatore della pastoral de favelas. “Noi tutti – dice – aspettavamo con impazienza questa visita. Siamo molto contenti perché significa l’impegno della Chiesa a favore dei più poveri e dei più sofferenti, non solo qui a Rio de Janeiro ma nel mondo intero. Abbiamo bisogno di una Chiesa che sia più vicina ai poveri”.

(dall’inviata Sir, Maria Chiara Biagioni)

 

 

 

3. Nella Favela

Una pagina della “sua” enciclica giovane

Prosegue col popolo quella sorta di enciclica predicata e itinerante che questo viaggio in Brasile rappresenta. Come orizzonte il futuro, come destinatario il mondo intero. Nessuno, nonostante tanti sforzi degni di miglior causa, ha potuto arruolarlo nelle file dei progressisti o dei conservatori, contrapponendo l’attenzione ai temi sociali a quelli etici

 

“Non stancatevi di lavorare per un mondo più giusto e più solidale! Nessuno può rimanere insensibile alle disuguaglianze che ancora ci sono nel mondo!”. Papa Francesco entra in punta di piedi, con totale familiarità, nella favela di Varginha. E parla chiaro.

Di più: prosegue col popolo quella sorta di enciclica predicata e itinerante che questo viaggio in Brasile rappresenta. Un’enciclica proiettata sui giovani, come orizzonte di futuro, che ha come destinatario il mondo intero.

Ecco, allora, a Varginha, nello stile semplice, chiaro e profondo del Papa predicatore, del Papa del popolo (come titola “Time”), il capitolo sociale, tra la gente, un tripudio di gente contenta di stare insieme al Papa.

La sua è una dottrina sociale che prima di tutto, però, è vita sociale, appello concreto e stringente a una vita sociale umana, degna dell’uomo.

“Non siete soli”. Parte e arriva qui il discorso sociale del Papa. Francesco sa che la sfida della globalizzazione e della crisi ha la sua radice prima di tutto qui. Quando siamo soli, siamo sfruttati e defraudati perfino della speranza; quando siamo soli, cerchiamo i surrogati. E disperiamo. Invece no: “Non scoraggiatevi mai, non perdete la fiducia, non lasciate che si spenga la speranza. La realtà può cambiare, l’uomo può cambiare. Cercate voi per primi di portare il bene, di non abituarvi al male, ma di vincerlo. La Chiesa vi accompagna, portandovi il bene prezioso della fede, di Gesù Cristo, che è ‘venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’”.

La Chiesa non è una Ong, ha ripetuto a più riprese. Il Papa vuole unire, vuole la coesione, ma sa che parte dalla vita, non dalle ideologie. Per questo predica la conversione e propone Cristo, prima di tutto. Traendone poi le conseguenze sociali.

Nessuno, nonostante tanti sforzi, degni di miglior causa, ha potuto arruolarlo nelle file dei progressisti o dei conservatori, contrapponendo l’attenzione ai temi sociali a quelli etici. Punta al concreto, predica la conversione e chiama all’opera. A Varginha denuncia le ingiustizie e sprona a costruire con un preciso orientamento. Rileggiamo il passaggio centrale del suo breve discorso: “Non c’è né vera promozione del bene comune, né vero sviluppo dell’uomo, quando si ignorano i pilastri fondamentali che reggono una Nazione, i suoi beni immateriali: la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia, fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale, che non si riduce a una semplice trasmissione d’informazioni con lo scopo di produrre profitto; la salute, che deve cercare il benessere integrale della persona, anche della dimensione spirituale, essenziale per l’equilibrio umano e per una sana convivenza; la sicurezza, nella convinzione che la violenza può essere vinta solo a partire dal cambiamento del cuore umano”. Tutto qui: ma non c’è alibi per nessuno e c’è molto lavoro da fare per tutti. (Francesco Bonini)

 

 

 

4. La visita all’ospedale

Fuori dal tunnel delle droghe. “Puoi rialzarti, se vuoi”

L’ ospedale Sao Francisco de Assis na Provedencia è un luogo di dolore ma anche di speranza. E il Papa la comunica con i suoi abbracci e i suoi sguardi. Tra la folla ci sono anche Maria Teresa e Ruggero Badano, i genitori di Chiara Luce, la ragazza morta a diciotto anni per un tumore osseo che è stata proclamata beata il 25 settembre 2010. È stata scelta da Benedetto XVI come una dei tredici intercessori della Gmg di Rio

 

È stato un incontro di abbracci e di carezze, un incrocio di sguardi che durerà tutta una vita, quello tra Papa Francesco e i malati dell’ospedale Sao Francisco de Assis na Providencia. I malati tutti in carrozzina accompagnati dal personale medico erano commossi fino alle lacrime, subito dopo il loro incontro con il Santo Padre. C’è chi è trapiantato di fegato, chi ha problemi con i reni, chi è completamente cieco ma, dice, “ho sentito così forte la vicinanza di Papa Francesco che è come se l’avessi visto”. Ed un altro: “Non ci siamo detti nulla. Mi ha accarezzato il viso ed ho sentito tutto il suo amore”.

 

La piaga della droga. Ospedale Sao Francisco de Assis na Provedencia: un luogo di dolore ma anche di speranza, dove la gente qui lotta per guarire da una malattia o per uscire dal tunnel delle tossicodipendenze. Il Santo Padre è qui per benedire una nuova struttura per il recupero dei tossicodipendenti, piaga dilagante nel nuovo Brasile: le stime dell’Oms dicono che il 3% della popolazione consuma crack. Ma la nuova deriva della droga qui in Brasile si chiama “oxi”: si presenta in una forma simile al crack, in piccole pietre, di colore però giallognole, e come il crack, si fuma. La differenza è che l’oxi è molto più economico del crack: una pietra di qualche grammo costa al massimo 5 reais, 2 euro. Quattro volte in meno rispetto al crack. “Chiediamo a Papa Francesco – dice padre Francisco Bellotti, direttore dell’Ospedale – di gridare ai giovani oppressi dalla vita e dai problemi: mai più droga e sempre e solo un sì deciso alla vita”.

 

Oggi è un giorno speciale per l’Ospedale. Centinaia di persone si sono messe in fila sotto una pioggia battente ed hanno atteso il Papa cantando. Nella folla ci sono anche Maria Teresa e Ruggero Badano, i genitori di Chiara Luce, la ragazza morta a diciotto anni per un tumore osseo che è stata proclamata beata il 25 settembre 2010. È stata scelta da Benedetto XVI come una dei tredici intercessori della Gmg di Rio per la sua straordinaria capacità di affrontare il male con la forza dell’amore. Poi qualche minuto prima dell’arrivo del Papa, tra la folla è calato un profondo silenzio e le persone hanno cominciato a pregare l’Ave Maria. In questa atmosfera di gioia ma al tempo stesso di incredibile profondità di fede, è arrivato Papa Francesco.

 

“Non lasciatevi rubare la speranza”. “A chi è caduto nel buio della dipendenza, magari senza sapere come, diciamogli: puoi rialzarti, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi”. Eccole le parole del Papa che toccano i cuori delle persone qui presenti. Papa Francesco punta non solo sugli operatori sanitari, i volontari, il personale medico ma chiama in causa anche la persona vittima delle tossicodipendenze chiedendole la forza di reagire, di riprendere in mano la propria vita e di ricominciarne una nuova. L’arrivo di Papa Francesco qui è come una potente scia di luce. “A tutti voi vorrei ripetere: non lasciatevi rubare la speranza!”. E la folla di Sao Francisco de Assis esplode in un grande applauso. Ai giornalisti, padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha ripreso il passaggio del discorso in cui il Papa ha parlato contro le liberalizzazioni dell’uso delle droghe e quello in cui ha citato la parabola del Buon Samaritano dove – dice il Papa – “non c’è l’indifferenza ma l’attenzione, non c’è il disinteresse ma l’amore”. Ma più che le parole, sono stati i gesti compiuti oggi da Papa Francesco e gli occhi carichi di lacrime dei malati a rendere attuale la parabola evangelica.

 

 

 

5. Dentro la tv

Il magico “effetto Francesco”

Le immagini hanno restituito tutta la freschezza della sua personalità

L’unica nota stonata è stata la voce di alcuni giornalisti televisivi che proprio non ce la fanno a stare zitti nemmeno quando un sacrosanto silenzio sarebbe il commento migliore. Ma nemmeno l’overdose di parole in cui qualcuno è caduto ha scalfito la potenza delle immagini che hanno restituito al mondo i gesti semplici, genuini ed efficaci di Papa Francesco durante il suo viaggio in Brasile in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù.

La prima istantanea è quella del Pontefice che sale sulla scaletta dell’aereo in partenza, sereno e sorridente, portando a mano la sua borsa come un qualunque pellegrino. In un mondo in cui ancora troppi credono che il valore di un personaggio pubblico si misuri dalla quantità di portaborse che lo seguono, questa immagine è un forte richiamo all’essenzialità e all’umiltà, ma anche alla ricchezza dell’essere persona.

All’arrivo a destinazione l’emozione non è stata minore. Abbiamo ancora negli occhi la “papamobile” che procede lentamente in mezzo a due ali di folla in tripudio, costretta addirittura a fermarsi per il caloroso abbraccio dei presenti. Il Papa non si tira indietro e, anzi, si protende per manifestare con la sua vicinanza all’uomo quella di Dio. Poco importa se la scorta e gli uomini della sicurezza sono costretti a un superlavoro (e probabilmente si sentirebbero più tranquilli con un Papa un po’ più ingessato nel cerimoniale tradizionale), il riverbero sulla folla che lo circonda e sugli spettatori di tutto il mondo è dirompente dal punto di vista non solo emotivo ma anche spirituale. Francesco è fede incarnata.

Le puntuali immagini del Centro televisivo vaticano in onda in mondovisione ci restituiscono l’intensità di un altro momento toccante e profondo: l’incontro con i tossicodipendenti in via di recupero nell’ospedale di Rio de Janeiro intitolato a San Francesco d’Assisi. Più delle parole contro la liberalizzazione delle droghe e contro ogni forma di dipendenza, valgono i gesti. O meglio, il gesto: l’abbraccio che il Pontefice regala a ciascuno e a tutti, senza barriere e con slancio pastorale e amichevole. Ed è proprio lì che Francesco regala una riflessione teologica delle sue, tanto semplice nell’enunciazione quanto profonda nel senso: “Vorrei abbracciare ciascuna e ciascuno di voi. Abbracciare. Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno, come San Francesco”. Proprio così.

Da lì alla visita nella casa di una famiglia della favela il passo è breve. E così il Papa entra fra le mura spoglie e decorose di un’abitazione nella comunità marginale di Varginha e, nei dieci minuti di permanenza, si comporta come se ritrovasse vecchi amici con cui la consuetudine è radicata. Gli ospiti stessi si stupiscono di tanta semplicità e del modo confidenziale con cui Francesco si rivolge a loro “chiedendo un bicchiere d’acqua”.

La distesa della spiaggia di Copacabana – ribattezzata per l’occasione dai giovani brasiliani “Popacabana” con un gioco di parole – rimanda l’immagine di più di un milione di ragazzi che aspettano, accolgono e festeggiano il Pontefice. La traversata dell’auto bianca fra la gente offre un altro bagno di folla, con le abituali soste per accarezzare un bambino, bere un sorso di “mate”, benedire da vicino i presenti, battere un “cinque” a chi protende la mano.

La stessa intimità e vicinanza si rivelano nell’incontro con i carcerati, ai quali Francesco regala parole di comprensione e, soprattutto, di speranza, mentre le immagini indugiano sul suo sorriso e sui lampi di luce che trasmette negli occhi dei presenti, non senza suscitare una buona dose di commozione.

La veglia di preghiera del sabato sera e la Messa conclusiva della domenica, spostate a Copacabana per le previsioni meteo non favorevoli, sono i momenti spirituali più intensi. La celebrazione finale dell’Eucaristia è solenne ma non cerimoniosa. Ancora una volta ci pensa Papa Francesco a rivelare l’essenzialità della fede in Cristo con l’immediatezza dei suoi gesti e delle sue parole. (Marco Deriu)

 

 

 

6. Appuntamento a Cracovia

Dal Mondo Nuovo al Continente Vecchio. Sapremo cambiare?

La Gmg torna in un’Europa dalla gelida razionalità e dal cuore indurito. Questi 36 mesi saranno sufficienti alle nostre Chiese per assimilare la lezione di Bergoglio sull’incontro e il dialogo?

In queste ore avvertiamo una forte emozione e una sana inquietudine ecclesiale. Che proviamo ad esprimere con una domanda: quale Chiesa incontrerà Papa Francesco fra tre anni in Polonia? Da Rio de Janeiro a Cracovia. Dal Nuovo Mondo al Vecchio Continente. Ma dopo quello che abbiamo vissuto nei giorni di Rio, sarebbe più giusto dire “dal Mondo Nuovo al Continente Vecchio”. Perché la Polonia, Paese leader nell’Europa dell’Est, è pur sempre nel centro di quel Continente la cui gelida razionalità e il cui cuore indurito sembrano stridere con l’ondata di calore smossa dai milioni di giovani che hanno voluto accogliere la proposta di Papa Francesco. Non è ancora tempo di bilanci per la Gmg, che presto stileremo. In queste ore, non solo avvertiamo una forte emozione destinata a sedimentarsi, ma anche una sana inquietudine ecclesiale. Che proviamo a esprimere con una domanda: quale Chiesa incontrerà Papa Francesco fra tre anni a Cracovia?

Questi 36 mesi che ci dividono dall’appuntamento con la 29ª Gmg nella terra di Giovanni Paolo II, che tenacemente e contro tutti gli scettici e i benpensanti cattolici volle questo straordinario appuntamento del cattolicesimo giovane, saranno sufficienti per assimilare la lezione di Bergoglio? La domanda è assolutamente legittima perché nelle parole rivolte dal Papa a vescovi, sacerdoti, religiosi e milioni di giovani credenti, non c’è ombra di rassegnazione. Anzi, affiora una determinazione a cambiare il corso della storia della Chiesa, partendo da una drammatica considerazione sul nostro tempo: “Non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca”. Siamo già in un “tempo nuovo”, vuole dirci il Papa. Attardarci a filosofeggiare o a dividerci, non è più consentito. E noi, italiani ed europei, abbiamo il dovere di riproporre con forza la domanda che il Papa incessantemente ha rivolto a tutti i suoi interlocutori, persino politici, nei giorni di Rio: “Che cosa chiede Dio a noi?”. A questa domanda la Chiesa italiana e le Chiese d’Europa dovranno provare a dare risposta nei prossimi tre anni. Perché non si può restare indifferenti alla richiesta stringente di porre Cristo al “centro” e di farci tutti noi periferici. Comunque vada, è Gesù “al centro”, non la nostra Chiesa, la nostra associazione, il nostro movimento, la nostra comunità o la nostra parrocchia. O, molto più banalmente, ciascuno di noi. Questo spostamento di tutti noi un po’ più in là, non è semplicisticamente una sorta di ricollocazione geo-ecclesiale, di nuova geografia ecclesiale. È un’autentica rivoluzione di Chiesa, nella quale ci tocca vestire i panni dei discepoli di Emmaus. Se pensiamo alla nostra stanca Europa, chiusa nei suoi bastioni intellettuali e finanziari, riusciamo a cogliere la portata della sfida lanciata da Francesco. È l’Europa tutta che appare delusa. Ma la risposta di Francesco non va alla ricerca delle responsabilità altrui e si chiede, perciò, se la Chiesa non sia apparsa “troppo fredda”, “troppo lontana”, “troppo autoreferenziale”. Forse – aggiunge il Papa – “la Chiesa è apparsa prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta”. A questa umanità delusa il Papa ci chiede di rispondere colmando le distanze che ci separano, andando incontro ai poveri (in crescita dappertutto) che potrebbero perdere la pazienza e non aspettare più l’annuncio del Vangelo.

A Rio il Papa ha scritto una pagina, per parole e gesti, della teologia dell’incontro e del dialogo. Lo ha fatto fisicamente e spiritualmente, senza risparmiarsi, dal primo all’ultimo momento in terra brasiliana, trattando gli indios dell’Amazzonia e i capi di Stato con gli stessi canoni: una parola e un abbraccio. Dalla Gmg brasiliana ricaviamo il forte richiamo, dunque l’impegno, e la speranza di una svolta pastorale della nostra Chiesa, in ogni angolo del mondo. Una Chiesa giovane che sappia andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo con una missione per conto di Gesù: “Dialogo, dialogo, dialogo”. (Domenico Delle Foglie)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 31 del 4 agosto 2013