“Lumen fidei” (La luce della fede)

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Presentata alle 12 di venerdì 5 luglio la prima enciclica di Papa Francesco (vai al testo integrale)

“Lumen fidei” (La luce della fede)

Scritta sulla traccia di un testo di papa Benedetto, a compimento delle encicliche sulla carità e sulla speranza. Sintesi e commenti

La fede “non è un salto nel vuoto”, o una “illusione”, ma una luce “capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo” e di dare ad esso “occhi nuovi” per viverla e interpretarla. È quanto si legge nell’introduzione di “Lumen Fidei”, la prima enciclica di Papa Francesco, che – come spiega lui stesso – si aggiunge alle encicliche di Benedetto XVI sulla carità e la speranza e assume il “prezioso lavoro” compiuto dal Papa emerito, che aveva già “quasi completato” l’enciclica sulla fede. A questa “prima stesura”, Papa Francesco aggiunge oggi “ulteriori contributi”. “È urgente recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore”, l’intento di fondo della prima enciclica del Papa, in cui fin dall’inizio si prende sul serio “l’obiezione di tanti nostri contemporanei”. La tesi

citata dal Papa è quella di Nietzsche, che muove una critica radicale al cristianesimo partendo dall’affermazione che “il credere si opporrebbe al cercare”. Il processo iniziato con l’epoca moderna ha fatto sì che “la fede ha finito per essere associata al buio”: “Lo spazio per la fede si apriva là dove la ragione non poteva illuminare, lì dove l’uomo non poteva più avere certezze. La fede è stata intesa allora come un salto nel vuoto o come una luce soggettiva”.

 

Poco a poco, però, “si è visto che la luce della ragione autonoma non riesce a illuminare abbastanza il futuro”, che “alla fine resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto”. E così, “l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada”. Ma “quando manca la luce – ammonisce il Papa – tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla méta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione”. “La Chiesa – ricorda il Papa – non presuppone mai la fede come un fatto scontato”. Proprio nell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, a 50 anni dal Concilio, Papa Francesco definisce la fede come “luce per la strada, luce che orienta il nostro cammino del tempo”: una luce che “procede dal passato” e “viene dal futuro”. “La fede non abita nel buio, è una luce per le nostre tenebre”, scrive il Papa, che cita la definizione di Dante nella Divina Commedia: “favilla/che si dilata in fiamma poi vivace/e come stella in cielo in me scintilla”. “Proprio di questa luce della fede vorrei parlare – aggiunge il Papa – perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce”.

“La fede, senza verità, non salva, non rende sicuri i nostri passi. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità, qualcosa che ci accontenta solo nella misura in cui vogliamo illuderci. Oppure si riduce a un bel sentimento, che consola e risalda, ma resta soggetto al mutarsi del nostro animo, alla variabilità dei tempi, incapace di sorreggere un cammino costante nella vita”. Al legame tra fede e verità è dedicato il secondo capitolo della “Lumen fidei”, in cui il Papa afferma che “richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per le crisi di verità in cui viviamo”. “Nella cultura contemporanea – la denuncia del Papa – si tende spesso ad accettare come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l’unica verità certa, l’unica condivisibile con gli altri, l’unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme”. Dall’altra parte, ci sono “le verità del singolo, che consistono nell’essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l’individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune”.

“La verità grande, la verità che spiega l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto”, prosegue il Papa, secondo il quale in questo modo “rimane solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più”. Papa Francesco stigmatizza questo atteggiamento, e lo definisce “un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo”. “La domanda sulla verità – spiega infatti – è una questione di memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro io piccolo e limitato”. “Con il cuore si crede”, afferma il Papa citando san Paolo e ricordando che “il cuore nella Bibbia, è il centro dell’uomo, dove s’intrecciano tutte le sue dimensioni: il corpo e lo spirito; l’interiorità della persona e la sua apertura al mondo e agli altri; l’intelletto, il volere, l’affettività. Se il core è capace di tenere insieme queste dimensioni, è perché è il luogo dove ci apriamo alla verità e all’amore e lasciamo che ci tocchino e ci trasformino nel profondo”. La fede, cioè, “trasforma la persona intera, in quanto essa si apre all’amore”, e “la comprensione della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà”.

“La fede è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale”. È quanto scrive Papa Francesco nel primo capitolo della “Lumen fidei”. “Credere – spiega il Papa – significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia”. La fede, prosegue il Papa, “consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo nella chiamata di Dio”. In questo sta il “paradosso” della fede: “Nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli”. L’opposto della fede è dunque l’idolatria, incalza il Papa, che cita Martin Buber per spiegare come “l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani”. Così l’uomo, “perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia”. Per questo “l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro”: “L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto”.

La fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio”. Con queste parole il Papa, nella sua prima enciclica, spiega il senso del legame tra la fede e l’evangelizzazione. “La nostra cultura – la sua denuncia – ha perso la percezione della presenza concreta di Dio, della sua azione del mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti”. “Ma se fosse così – l’obiezione del Papa – se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale, e non sarebbe quindi neanche vero amore, capace di compiere quella felicità che promette. Credere o non credere in Lui sarebbe allora del tutto indifferente”. I cristiani, invece, “confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale, amore che si è fatto incontrabile, che si è rivelato in pienezza nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo”. “Il cristiano può avere gli occhi di Gesù, i suoi sentimenti, la sua disposizione filiale, perché viene reso partecipe del suo Amore, che è lo Spirito”, ricorda il Papa: in questo modo, “l’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale”, perché la fede si confessa all’interno del corpo della Chiesa, come “comunione concreta dei credenti”.

“Chi crede non è mai solo”, perché “la fede tende a diffondersi, ad invitare altri alla sua gioia”. È quanto scrive il Papa nel terzo capitolo della sua prima enciclica “Lumen Fidei”, incentrato sull’importanza della nuova evangelizzazione. Il Papa cita Tertulliano, per ricordare che “chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo io si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita”. “È impossibile credere da soli”, ammonisce il Papa: “La fede non è solo un’opzione individuale che avviene nell’interiorità del credente, non è rapporto isolato tra l’io del fedele e il Tu divino, ma il soggetto autonomo e Dio”. La fede, in altre parole, “si apre per sua natura al noi, avviene sempre all’interno della comunione della Chiesa”. Nel Credo, infatti, “è possibile rispondere in prima persona solo perché si appartiene a una comunione più grande”. La fede è “una”, e “deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità”, si legge nell’enciclica, dove sulla scorta delle parole del beato John Henry Newman si sottolinea che “la fede si mostra universale, cattolica, perché la sua luce cresce per illuminare tutto il cosmo e tutta la storia”.

“Anche se il diavolo tenta sempre di scalfire il volto dell’Arcangelo e il volto dell’uomo – ha osservato Papa Francesco -, Dio è più forte; è sua la vittoria e la sua salvezza è offerta ad ogni uomo. Nel cammino e nelle prove della vita non siamo soli, siamo accompagnati e sostenuti dagli Angeli di Dio, che offrono, per così dire, le loro ali per aiutarci a superare tanti pericoli, per poter volare alto rispetto a quelle realtà che possono appesantire la nostra vita o trascinarci in basso”. Nel consacrare lo Stato Città del Vaticano a San Michele Arcangelo, ha affermato il Pontefice, “gli chiediamo che ci difenda dal Maligno e che lo getti fuori”. Ma, ha aggiunto, “noi consacriamo lo Stato Città del Vaticano anche a San Giuseppe, il custode di Gesù, il custode della Santa Famiglia. La sua presenza ci renda ancora più forti e coraggiosi nel fare spazio a Dio nella nostra vita per vincere sempre il male con il bene. A lui chiediamo che ci custodisca, si prenda cura di noi, perché la vita della Grazia cresca ogni giorno di più in ciascuno di noi”.

“La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei”, perché “senza un amore affidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti degli uomini”. Ne è convinto il Papa, che nel quarto e ultimo capitolo della sua prima enciclica “Lumen Fidei” si sofferma sul rapporto tra Chiesa e mondo. “La fede è un bene per tutti, è un bene comune – afferma il Papa – la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza”. Il primo ambito in cui “la fede illumina la città degli uomini”, per il Papa, si trova in famiglia, come “unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio”, che nasce “dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita”. Poi i giovani: qui il Papa cita le Giornate mondiali della gioventù, in cui giovani mostrano “la gioia della fede” e l’impegno a viverla in modo saldo e generoso: “I giovani hanno desiderio di una vita grande. L’incontro con Cristo le dona una speranza che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”.

“La fede ci insegna a vedere che in ogni uomo c’è una benedizione per me, che la luce del volto di Dio m’illumina attraverso il volto del fratello”. Lo scrive il Papa nell’ultimo capitolo della sua prima enciclica “Lumen Fidei”, in cui parla della “dignità unica della singola persona” come acquisizione propria del cristianesimo, “non così evidente nel mondo antico”. La fede nel Dio creatore ci fa inoltre “rispettare maggiormente la natura, facendoci conoscere in essa una grammatica da Lui scritta e una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita”. Nasce da qui la necessità di “trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull’utilità del profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui siamo tutti debitori”. Altro imperativo, per il Papa, è quello di “individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l’autorità viene da Dio per essere al servizio del bene comune”. “Quando la fede viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno”, scrive Papa Francesco citando Eliot ed esortando a “non vergognarsi” della propria fede. “La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo”, sottolinea il Papa, richiamando gli esempi di San Francesco e di Madre Teresa di Calcutta.

 

Clicca sugli indirizzi sottostanti per sfogliare, scaricare o leggere l’edizione ufficiale dell’enciclica:

http://www.vatican.va/lumen-fidei/it/html/index.html

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei_it.pdf

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei_it.html

 

 BREVE SINTESI

“Lumen fidei” (la luce della fede)

La fede illumina l’esistenza

La prima Enciclica firmata da Papa Francesco

“Lumen fidei” (“La luce della fede”) è la prima Enciclica firmata da Papa Francesco. Suddivisa in quattro capitoli, più un’introduzione e una conclusione, la lettera – spiega lo stesso Pontefice – si aggiunge alle Encicliche di Benedetto XVI sulla carità e sulla speranza e assume il “prezioso lavoro” compiuto dal Papa emerito, che aveva già “quasi completato” l’Enciclica sulla fede. A questa “prima stesura” Francesco ha aggiunto “ulteriori contributi”.

 L’introduzione. L’introduzione illustra le motivazioni poste alla base del documento: innanzitutto, recuperare il carattere di luce proprio della fede, capace d’illuminare tutta l’esistenza dell’uomo, di aiutarlo a distinguere il bene dal male, in particolare in un’epoca, come quella moderna, in cui il credere si oppone al cercare e la fede è vista come un’illusione, un salto nel vuoto che impedisce la libertà dell’uomo. In secondo luogo, l’Enciclica vuole rinvigorire la percezione dell’ampiezza degli orizzonti che la fede apre per confessarla in unità e integrità. “Chi crede, vede”, scrive il Papa.

 Il primo capitolo. Nel primo capitolo, il Pontefice si sofferma sulla figura di Gesù, mediatore che ci apre a una verità più grande di noi, manifestazione di quell’amore di Dio che è il fondamento della fede. In quanto risorto, inoltre, Cristo è “testimone affidabile”, “degno di fede”. Ma c’è “un aspetto decisivo” della fede in Gesù: “La partecipazione al suo modo di vedere”. Usando un’analogia, il Papa spiega che come nella vita quotidiana ci affidiamo a “persone che conoscono le cose meglio di noi” – l’architetto, il farmacista, l’avvocato – così per la fede necessitiamo di qualcuno che sia affidabile ed esperto “nelle cose di Dio” e Gesù è “colui che ci spiega Dio”. La fede, poi, “non è un fatto privato”, ma è destinata a diventare annuncio.

 Il secondo. Nel secondo capitolo, “Se non crederete, non comprenderete”, il Papa scrive: “La fede senza verità non salva. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità”. Ed oggi, data “la crisi di verità in cui viviamo”, è più che mai necessario richiamare questo legame, perché la cultura contemporanea tende ad accettare solo la verità della tecnologia, ciò che l’uomo riesce a costruire e misurare con la scienza e che è “vero perché funziona”, oppure le verità del singolo valide solo per l’individuo e non a servizio del bene comune. Ciò comporta però il “grande oblio del mondo contemporaneo” che – a vantaggio del relativismo e temendo il fanatismo – dimentica la domanda sulla verità, sull’origine di tutto, la domanda su Dio. La “Lumen fidei” sottolinea, poi, il legame tra fede e amore, inteso come il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. A questo punto, il Papa apre un’ampia riflessione sul “dialogo tra fede e ragione”. La fede non è intransigente, il credente non è arrogante. Al contrario, la verità rende umili e porta alla convivenza e al rispetto dell’altro. Ne deriva che la fede porta al dialogo in tutti i campi.

 Il terzo. Il terzo capitolo, “Vi trasmetto quello che ho ricevuto”, è incentrato sull’importanza dell’evangelizzazione: chi si è aperto all’amore di Dio, non può tenere questo dono per sé, scrive il Papa, ricordando la catena ininterrotta dei testimoni della fede. Ciò comporta il legame tra fede e memoria perché l’amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi e ci rende contemporanei a Gesù. Inoltre, diventa “impossibile credere da soli”, perché la fede apre l’io al “noi” ed avviene sempre “all’interno della comunione della Chiesa”. Per questo, “chi crede non è mai solo”. C’è “un mezzo speciale” con cui la fede può trasmettersi: i sacramenti.

 Il quarto. Il quarto capitolo, “Dio prepara per loro una città”, spiega il legame tra la fede e il bene comune. La fede, infatti, rende saldi i vincoli fra gli uomini e si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. Ecco perché essa non allontana dal mondo e non è estranea all’impegno concreto dell’uomo contemporaneo. L’Enciclica si sofferma, poi, sugli ambiti illuminati dalla fede: la famiglia fondata sul matrimonio, i giovani, i rapporti sociali, la natura, la sofferenza e la morte. All’uomo che soffre Dio offre la sua presenza che accompagna, che apre un varco di luce nelle tenebre. In questo senso, la fede è congiunta alla speranza. Alla fine della “Lumen fidei”, il Papa invita a guardare a Maria, “icona perfetta” della fede.

 

LUMEN FIDEI / COMMENTO 1

Una luce potente nello spazio profondo “oltre” la ragione

Una trave portante dell’Enciclica: non solo la fede è in armonia con la ragione, come insegnava il pensiero medievale, ma essa possiede un legame costitutivo con l’amore.

Non è esagerato affermare che “Lumen fidei”, la prima Enciclica di Papa Francesco appartenga più di ogni altra al ministero del Successore di Pietro che da sempre è chiamato a confermare i fratelli “in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo” (n.7). Il compito affidato da Cristo al suo Vicario non è mai stato svolto in modo generico o asettico, ma tenendo conto delle sfide del suo tempo.

Fin dalle prime righe dell’Enciclica si capisce quale è l’orizzonte culturale nel quale Papa Francesco vuole inserirsi. Egli, in continuità con il magistero del suo predecessore Benedetto XVI, aiuta a superare l’idea che la fede sia da considerarsi come un fatto ormai privato. Il discorso su Dio sembra non essere scientifico, al punto da non trovare più cittadinanza nel pensiero e nel vivere sociale. Gli stessi simboli religiosi, non solo quelli cristiani, in nome di una mal intesa laicità non dovrebbero più aver posto nella sfera pubblica. La stessa Chiesa cattolica dovrebbe essere considerata una mera associazione privata. Tutto questo è una novità, rispetto ai secoli precedenti ed ha una genesi nel pensiero a noi più vicino. Lo rileva l’Enciclica sin dal suo esordio quando registra le obiezioni di tanti nostri contemporanei nei confronti della luce della fede: “Nell’epoca moderna si è pensato che una tale luce potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione” (n.2). Addirittura, è stato pensato che la fede fosse come un’illusione di luce, che impedirebbe “il nostro cammino di uomini liberi verso il domani”.

In questo processo, da luce è stata ridotta a oscurità e buio; così dove la ragione non poteva più illuminare, s’invocava la fede come un supplemento di certezza. Se questo, in parte è vero, qualcuno è giunto a non ritenere più necessario, né importante lo spazio “oltre” la ragione; infatti sarebbe vero solo quanto la ragione può conoscere e l’uomo può fare: questo alla fine è ciò che interessa. Così “la fede è stata intesa come un salto nel vuoto che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiarare il cammino” (n.3). L’Enciclica invita a superare alla radice questa cattiva comprensione della fede che porterebbe a estremizzare: quello che la ragione non giunge a comprendere, lo assicura la fede; quasi a dire che la fede umilierebbe la ragione e spegnerebbe la ricerca dell’uomo. “E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada”.

Eppure la fede ha un carattere diverso: essa è capace non solo di aiutare la ragione nel suo faticoso cammino di ricerca, ma anche di illuminare l’intera esistenza dell’uomo. È una luce potente, che non procede da noi stessi, ma viene in definitiva da Dio: “La fede nasce nell’incontro con il Dio vivente, che ci chiama e ci svela il suo amore, un amore che ci precede e su cui possiamo poggiare per essere saldi e costruire la vita” (n.4). Qui troviamo una trave portante dell’Enciclica: non solo la fede è in armonia con la ragione, come insegnava il pensiero medievale, ma essa possiede un legame costitutivo con l’amore. Infatti, è memoria fondante di quanto Dio ha rivelato e compiuto nel suo Figlio. La morte di Cristo ma anche la sua Risurrezione testimoniano concretamente che Dio nel suo amore è affidabile e opera nella storia. (Marco Doldi)

 

LUMEN FIDEI / COMMENTO 2

Dio non è morto anzi rischiara la città terrena

Con il suo linguaggio semplice, l’Enciclica va a incontrare gli interrogativi del dubbioso, del laico, dello stesso credente. Proprio perché si rivolge a tutti senza distinzioni o esclusioni, per cultura la lettera apostolica sulla luce della fede cerca di mostrare l’efficacia pratica del credere

Una felice meditazione sulla luce che illumina la vita, è l’Enciclica “Lumen Fidei” dei due Papi. Visto che si avverte sino in fondo la cultura profonda di Ratzinger, il suo dialogo anche critico con i pensatori dell’Occidente, mentre si coglie l’immediatezza dello stile di Papa Francesco. Certo tra i pensatori, se si escludono Agostino, il Tommaso d’Aquino, il Guardini sono citati Nietzsche e Wittgenstein, ma nel sottofondo di alcune espressioni s’intuiscono i nomi di alcuni capisaldi della cultura moderna. Il filosofo della morte di Dio, Nietzsche, per aver decretato che seguire l’illusione della fede significa rinunciare alla verità. E.L.Wittgenstein, che pur da credente, aveva confinato la fede nell’irrazionale, nella mistica, perché le uniche verità possibili, dimostrate sono soltanto quelle della scienza e dei risultati della tecnica. Invece conta anche la memoria, perché ci si rivolge anche a chi ci ha preceduto come sono i martiri, i profeti, gli apostoli, Gesù, i profeti.

Dunque i due Papi entrano nella nostra contemporaneità. Anzi in quella modernità che vedrebbe nella fede addirittura “una verità che si imponga con la violenza”, per cui chiede un passo indietro alle religioni nella vita pubblica, in nome dell’universalismo, della tolleranza, dell’inclusione come vorrebbe J.Habermas. Verità e religione, invece, non sono assolutamente causa di intolleranza e fanatismo, anche se i conflitti non sono mancati.

Vedendo che le religioni non scompaiono, come prevedeva la sociologia, ma rinascono nuove religiosità, almeno nel resto del mondo fuori dell’Europa, ora alcuni sociologi sostengono una sorta di religione fai-da-te, risultante da un assemblaggio di diverse verità, di diversi riti. Le chiamano le religioni individualizzate, personalizzate, costruite su misura di ciascuno. Ricorda, invece, Papa Francesco che la “fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, come vorrebbe invece il sociologo tedesco Ulrich Beck.

Certo il linguaggio dell’Enciclica è semplice. Il testo non è infarcito di citazioni a piè di pagina. Scorre velocemente. Va a incontrare gli interrogativi del dubbioso, del laico, dello stesso credente. Proprio perché si rivolge a tutti senza distinzioni o esclusioni, per cultura la lettera apostolica sulla luce della fede cerca di mostrare l’efficacia pratica del credere.

Anzitutto perché porta luce nell’esistenza personale. Ma anche nella società. O il bene comune, il bene di tutti, che deve perseguire la politica, ha un fondamento nell’amore di un Padre, oppure lo sviluppo è guidato dall’utile e dalla misura del profitto. Si potrebbe chiosare che l’utilitarismo – di pochi – è proprio il sistema adottato da quel capitalismo finanziario che ha generato la grande crisi attuale. I rapporti sociali, il bene comune vanno ripensati nella chiave dalla “fraternità”. Né si può scindere il credere, la sua luce, dal diritto e dalla giustizia, dalla pace se essa si fonda in un Dio che è Padre e madre. La fede mostra la sua efficacia anche come fondamento della famiglia in quanto legge l’unità di essa come rispecchiamento di un’alleanza più grande, quella di Dio.

Se la fede è efficace nello scorrere dell’esistenza significa ancora di più che non è una illusione.

Dio non solo non è morto ma illumina la città terrena prima ancora di quella celeste. (Bruno Cescon)