Speciale INCONTRA Famiglia

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Speciale INCONTRA Famiglia

-Obiettivo famiglia

-Attenzioni al rito e al vissuto

-Riflessioni sulla fatica pastorale per nuovi cammini

-Far assaggiare la fede

-Trasmettere la fede: la riflessione di un genitore

-Incontro necessario e fecondo

-Famiglia e missione

-La famiglia: speranza e futuro per la società italiana

 

 

 

Obiettivo famiglia

Riflessioni e proposte sull’ampia tematica della “questione famiglia” e della pastorale familiare

Dedicato interamente alla “famiglia” questo numero di “Incontra”. A partire dagli ultimi “Orientamenti pastorali” proposti dai vescovi, soffermandosi anche sulla nuova esperienza di incontro tra “famiglie ricostituite”. Collegato con il rinnovamento dell’itinerario dell’Iniziazione cristiana, il discorso dell’educazione alla fede delle nuove generazioni da parte dei genitori, maestri e testimoni. Indicazioni e suggerimenti sulle tante esperienze possibili di preghiera in famiglia e sulla dimensione familiare della vita sacramentale. Una testimonianza diretta da parte di una famiglia che ha sperimentato e vive la dimensione dell’annuncio missionario. Un cenno alla 47ª Settimana sociale che dal 12 al 15 settembre a Torino rifletterà su “Famiglia: speranza e futuro della società italiana”. La famiglia, inoltre, come esperienza vocazionale, capace di generare a sua volta vocazioni. Infine qualche spunto sul rapporto tra famiglia e mass media: sull’immagine che ne emerge e sulla responsabilità educativa che comportano anche i nuovi media.

 

 

 

Attenzioni al rito e al vissuto

I più recenti “Orientamenti pastorali” dei vescovi sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia

È datata ottobre 2012 a firma del Vescovo di Parma Enrico Solmi la Nota sugli orientamenti pastorali in preparazione al matrimonio e alla famiglia, lavoro di riflessione della Commissione Episcopale per la famiglia e la Vita. Il documento ripropone le coordinate fondamentali della preparazione al matrimonio cristiano e in questo senso la nota s’inserisce in un continuum di altri pronunciamenti. Interessante è invece l’approccio metodologico che integra – lo si coglie tra le righe – diverse esperienze che in Italia si stanno facendo nel campo della preparazione al matrimonio cristiano e in particolare nell’accompagnamento della coppia nei primi anni di matrimonio.

Lo sguardo su fedeltà e innamoramento coglie lo sforzo di esprimere con un linguaggio attualizzante l’evento dell’innamoramento nella vita delle persone e ciò che ne consegue: mi sembra interessante la capacità di decifrazione della nascita del sentimento e della sua stabilizzazione in un primo tratto di percorso comune tra un uomo e una donna. Dentro questo primo contesto si riposizionano gli alfabeti della corporeità comprensivi del pudore e della castità. Solo in uno sforzo interpretativo globale della partecipazione del corpo al “voler bene” all’altro diventano comprensibili gli stili dell’amore casto e pudico che non significano un ritorno al pudore dell’era vittoriana.

Un secondo aspetto interessante riguarda il tratto formativo dentro la triade identità, reciprocità, progettualità. È attraverso la rilettura narrativa di questi tre ambiti che diventa possibile la costruzione e la proposta di un cammino (di re-iniziazione?) che mette insieme proposta cristiana e accoglienza piena della dimensione antropologica dell’essere uomo/essere donna/essere coppia.

La modalità di celebrazione delle nozze sarà consequenziale a ciò che prima è stato evidenziato. La pluralità di proposte liturgiche che vengono offerte e che in un certo senso ‘dicono’ a che punto la coppia è arrivata nell’appartenenza alla Chiesa. Il rito prevede quindi anche la consegna della Bibbia dopo la celebrazione dello stesso sacramento nella Liturgia della Parola. La fede adulta è un mosaico che abbisogna di tante tessere che si dispongono nel tempo e con modalità non sempre prevedibili e progettabili: alle coscienze delle persone noi diamo il materiale che le stesse dovranno poi comporre.

Nel cammino verso la celebrazione al n° 23 si afferma un dato che ormai è esperienza già acquisita: evitare le lezioni frontali e impostare i percorsi all’interno di una metodologia di formazione/azione. Tra le righe si può leggere l’invito a formare persone e coppie che sappiano gestire gruppi e abbiano una minima conoscenza di tecniche e metodologie di animazione di gruppo.

Altre due sottolineature mi sembrano significative nella costruzione di una mentalità nuova rispetto alla preparazione al Matrimonio: la prima è l’accoglienza dei cercatori di Dio e l’accoglienza dei già conviventi o sposati civilmente. Cogliere tutti questi segni dei tempi che cambiano come opportunità e occasione di rimettere in circolo con parole nuove l’Evangelo di Gesù attraverso il cammino dell’uomo che si interroga e che non sempre trova risposta. Tutto questo senza preclusioni di sorta e nella proposta ‘chiara’ del Vangelo che è sempre esigente. Può essere che tale approccio porti la coppia (è già capitato e capiterà) a posticipare il matrimonio e nel frattempo si maturino itinerari di approfondimento e di conoscenza della fede cristiana. Ci si può avvicinare al matrimonio cristiano non solo per conversione repentina, ma anche con cammini lenti nella cifra della gradualità e non della frattura.

Infine mi piace sottolineare la nota sul dialogo di coppia e la gestione dei conflitti, da intendersi sempre più come situazioni che dicono la normalità di una vita di coppia. Vita spirituale, sacramenti, preghiera, ma anche nuovi strumenti di crescita e di sostegno alle fragilità che sempre più attraversano i vissuti delle persone. L’importanza quindi di strumenti e luoghi dove vivere la gestione dei conflitti nei colloqui con consulenti familiari, con il counseling di coppia e di gruppo, con l’esperienza delle famiglie affidatarie e delle famiglie che vivono come evento destabilizzante la nascita del primo figlio.

Il documento si presenta quindi come un ulteriore passo verso un progetto formativo che vede la comunità cristiana sempre più attenta alla famiglia come soggetto di attenzione e verso una valorizzazione del laicato su cui abbiamo ancora tanta strada da compiere. (don Marino)

 

 

Meeting Famiglie Ricostituite – Diocesi di Vicenza e Chioggia, 12 maggio 2013

Riflessioni sulla fatica pastorale per nuovi cammini

È stata un po’ una sorpresa l’incontro svoltosi a S. Anna di Chioggia domenica 12 maggio (foto in alto) tra due esperienze di famiglie ricostituite (preferiamo questa dicitura piuttosto che divorziati risposati) che la Diocesi di Vicenza e di Chioggia stanno portando avanti con un bel gruppo di persone. Esperienza di lunga durata e molto strutturata quella di Vicenza: nasce infatti nel 1997 ed è attualmente seguita da don Battista Borsato, responsabile della Pastorale della Famiglia della Diocesi berica; appena agli inizi quella della nostra diocesi che ha iniziato a settembre dell’anno scorso e che prevede un incontro ogni tre mesi. L’input iniziale è stato dato da sr. Licinia, religiosa orsolina che dopo la lettura del tratto degli Atti degli Apostoli che caratterizzava la domenica di Ascensione, si domandava se e come queste esperienze potevano considerarsi “profetiche” nell’ambito di un cammino di Chiesa locale e universale. Profezia dunque non perché risolvono una questione sulla quale ci si dibatte (per il momento forse inutilmente), comunione sì / comunione no, ma perché riposizionano in maniera veramente nuova una condizione sempre più frequente della vita e della pastorale delle nostre comunità cristiane. Le famiglie ricostituite rappresentano davvero un universo molteplice e variegato. Già nella narrazione della trentina di persone che si sono trovate e si sono vicendevolmente arricchite con le loro narrazioni biografiche, emergevano vissuti di chi come coppia era reduce da due precedenti matrimoni, ma anche di chi aveva trovato la possibilità di ricostituire una famiglia con una persona che non aveva precedenti vincoli matrimoniali; e poi i figli dell’altro/dell’altra; la partecipazione negli anni della formazione a gruppi e movimenti ecclesiali, la rivisitazione critica della formazione morale, i sensi di colpa ma anche la percezione di un futuro tutto da costruire ancora, anzi – in alcuni casi – ancora di più, dentro la Chiesa. L’importanza dell’incontro con il gruppo delle persone – coppie e famiglie – con le quali condividere i vissuti a volte anche drammatici della propria storia. Certo è che porre il problema comunione ai divorziati risposati circoscrivendolo solo alla partecipazione eucaristica significa porre le premesse per non trovare soluzione. Si dovrà partire non dall’ultimo miglio, ma affrontare la questione alla radice, cioè attraverso una riflessione sul Matrimonio Cristiano, così come la Parola di Dio e la Tradizione ce lo consegnano, dove Tradizione significa anche attenzione a varie prassi con le quali confrontarsi come quelle delle Chiese Orientali che su questo hanno appunto una prassi/tradizione diversa. Viene ribadita – in maniera anche sorprendente – la centralità della Parola che nell’eucaristia convoca il popolo di Dio e che non esclude nessuno; la (paradossale) comprensione della fede come tesoro prezioso nonostante il costante digiuno eucaristico (che non sia anche questa profezia di Chiesa?) a fronte di partecipazioni all’eucaristia percepite a volte (molto volte) come leggere e anche senza coscienza ecclesiale. L’esperienza delle famiglie ricostituite ripropone la riflessione anche sull’altro sacramento intorno al quale si ha l’impressione di navigare a vista: il sacramento della Riconciliazione cristiana (anch’esso negato nella prassi attuale) che oramai sembra disancorato dalla coscienza morale del credente medio in Italia. Ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, emerge tutta la fatica pastorale della Iniziazione cristiana e della preparazione al Sacramento della vita matrimoniale, sulla quale qualche riflessione seria bisognerà pur fare, come ad esempio sull’equivalenza nella percezione collettiva del matrimonio civile e di quello cristiano. Sarà necessario sempre più aiutare le persone a scegliere e a capire che matrimonio civile e cristiano sono due scelte diverse, anche se hanno alcuni punti in comune. Riusciremo a dire qualcosa di nuovo su questo punto?

Infine, l’esperienza di una relazione matrimoniale ricostituita rimanda oggi all’importanza della condivisione dell’esperienza all’interno di un gruppo di condivisione che può assumere ampie sfaccettature: dal gruppo di preghiera, al gruppo di sostegno, di partecipazione empatica dei vissuti, di ascolto della Parola, al gruppo di auto e mutuo aiuto, al counseling di gruppo. Da soli difficilmente ci si ricostruisce in maniera totale, dell’Altro e degli altri abbiamo sempre bisogno.                               (mc)

 

 

 

Far assaggiare la fede

Il valore della famiglia cristiana, anche come luogo dove educare alla fede

Leggevo qualche tempo fa un episodio simpatico: “Mi è capitato, in una parrocchia, durante la distribuzione della comunione, di assistere a un episodio significativo: una bimba, tenuta per mano dalla mamma, appena la mamma ha fatto la comunione le si rivolge dicendole: “Fammela assaggiare anche a me””!

Mi sono detto: in qualche modo potrebbe essere questa la missione del genitore nell’educare alla fede: suscitare nei figli un forte desiderio: fammi assaggiare l’esperienza della fede, ne ho voglia, lo voglio anch’io!

Giuseppe Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, nel lontano 1930 così scriveva ai familiari: “Da quando sono uscito di casa, verso i dieci anni di età, ho letto molti libri e imparato molte cose che voi non potevate insegnarmi. Ma quelle poche sono ancora le più preziose e importanti e danno vita e calore alle molte altre che appresi in seguito, in tanti e tanti anni di studio e di insegnamento”.

Ho voluto citare questi due episodi, molto semplici, ma che ci fanno intuire una realtà molto importante: che l’educazione alla fede non può essere affidata semplicemente a dei programmi o a dei piani pastorali anche i più belli e sofisticati che ogni comunità parrocchiale tenta di predisporre, ma deve necessariamente coinvolgere la famiglia.

In una situazione, come la nostra, in cui la catechesi dei più piccoli e le varie esperienze di accompagnamento della preadolescenza e adolescenza non bastano più a “fare” il cristiano, perché, nonostante si investa la maggior parte delle energie in questi settori della pastorale, ci si trova con l’amara constatazione che dopo la Cresima i ragazzi ci salutano e se ne vanno, sorgono spontanee alcune domande: come portare i battezzati a riconoscere la bellezza della propria fede? Come sviluppare in loro non solo le conoscenze ma ancor più l’impegno della vita cristiana? Può la famiglia delegare ancora alla parrocchia la crescita religiosa dei figli? Perché la famiglia è così importante anche nell’educazione alla fede? Perché si insiste tanto sulla famiglia, soprattutto nella nuova prassi della Iniziazione Cristiana?

Sono domande che, son sicuro, rimbalzano ogni qualvolta si parla e si affrontano i problemi della catechesi nelle nostre Comunità parrocchiali.

Oggi cambiano rapidamente situazioni e istituzioni, prospettive e progetti. Ma per fortuna il valore della famiglia rimane, anche se a volte turbato e insidiato. La famiglia è là come lampada all’incrocio della vita, che ti indica la direzione da prendere; come il luogo di attracco e di approdo, che ti dà garanzia e sicurezza.

Sono davvero molte le ragioni che motivano e rendono doverosa una attenzione particolare nei confronti dei genitori e delle famiglie, anche se, in questi ultimi tempi, il compito dei genitori si è fatto più arduo e difficile per quanto riguarda la formazione cristiana dei figli.

Non possiamo dimenticare che la famiglia, nelle nostre tradizioni, è stata fino a qualche tempo fa il veicolo primo e preminente nella trasmissione della fede e di quei valori dei quali essa era insieme testimone e custode. Oggi tutto è molto più complesso, e i genitori avvertono, talora in modo perfino drammatico, le difficoltà di comunicare ai figli le loro più profonde convinzioni.

Sono convinto che nelle nostre Comunità cristiane dovremmo passare dalle iniziative “per” le famiglie alle attività o iniziative “delle” famiglie, gestite in prima persona dalle famiglie stesse: non termine o oggetto della pastorale, ma soggetto responsabile.

In particolare la famiglia cristiana, in quanto famiglia, oggi è chiamata a sentire come essenziale il suo coinvolgimento nella Iniziazione Cristiana dei propri figli.

Cosa capita invece nelle nostre Comunità parrocchiali?

Che le principali attenzioni pastorali, in genere, sono rivolte a ragazzi, studenti, anziani, mamme, interpellati come individui e non a partire dal contesto di vita fondamentale della famiglia, “piccola chiesa domestica”.

Va riconosciuto che la famiglia ha un dono da offrire, ha qualcosa da comunicare al resto della comunità cristiana che nessuno può comunicare al posto suo. Di riscontro la parrocchia, proprio grazie alla presenza della famiglia nei vari momenti della sua vita, può assumere una dimensione più “domestica” acquisendo uno stile di rapporti più umano e fraterno.

Allora, su quale strada le famiglie devono incamminarsi?

L’apporto specifico che la famiglia può dare, quale soggetto di catechesi, è innanzitutto quello di educare i figli a credere e ad amare coinvolgendoli in esperienze concrete e graduali di disponibilità, sacrificio, rispetto dell’altro, preghiera, attenzione ai più bisognosi.

In famiglia è possibile imparare che gratitudine non è dipendenza; creatività non è trasgressione; libertà non riguarda la soddisfazione immediata dei bisogni, ma liberazione da essi; obbedienza non è passività; sessualità non significa strumento di piacere, ma di comunicazione; amore non è sentimento capriccioso, ma impegno per un altro e per il futuro. Lo stile catechistico proprio della famiglia è quello, ad esempio, di evitare di “predicare” la fede, piuttosto raccontarla semplicemente esponendola e motivandola da credenti; di far pregare i figli più piccoli con il linguaggio spontaneo; di guardare avanti con la fiducia che la coppia trae dall’incessante novità delle proprie creature…

Non dobbiamo dimenticare che la famiglia che evangelizza è un’educatrice feriale che si “perde nella pasta” della più disarmante quotidianità fatta di tanti momenti che la vita quotidiana offre. Le modalità e i luoghi dell’annuncio sono informali, ma forse per questo più significativi. Il beato Giovanni Paolo II affermava: “La santità della famiglia è la via maestra ed il percorso obbligato per costruire una società nuova e migliore, per ridare speranza nell’avvenire ad un mondo su cui gravano tante minacce”.

E ancora: “La società di domani sarà quella che è oggi la famiglia. Questa, purtroppo, è al presente sottoposta a ogni sorta di insidie da parte di chi cerca di lacerarne il tessuto e di minarne la naturale e soprannaturale unità, disgregando i valori morali su cui si fonda con tutti i mezzi che l’odierno permissivismo della società mette a disposizione specie con i mass-media e negando il principio essenziale del rispetto per la sacralità di ogni vita umana, fin dal primo stadio dell’esistenza”.

Impegnarsi, allora, per la famiglia non vuol dire affrontare semplicemente una pastorale di informazione, una pastorale di istruzione e nemmeno soltanto di incoraggiamento ma, per quello che è nelle nostre possibilità, lottare contro le forze dell’egoismo, dell’individualismo, della visione naturalistica della vita, che continuamente aggrediscono ciò che la famiglia rappresenta come capolavoro di Dio.   (don Danilo Marin)

 

 

Trasmettere la fede: la riflessione di un genitore

I progetti dei genitori e… di Dio

Capita a volte di guardarli, i figli, specie quando sono piccoli, e ne nasce la domanda: che ne sarà di te? Quale progetto c’è sulla tua vita? Che Mistero ci ha messi insieme?

Capita anche di cadere nella tentazione di pensare che la loro vita tu la possa plasmare ad immagine e somiglianza del progetto che hai fatto su di loro. In fondo, a pensarla così, che male c’è? Ogni genitore non può che avere un progetto di bene per il proprio figlio.

Se questo riguarda tutti gli aspetti della vita, quello della trasmissione della fede acquista un suo significato tutto speciale. Qualcuno vorrebbe che io insegnassi di tutto ai miei figli, tralasciando, però, solo l’aspetto della fede, perché diversamente io li condizionerei in un ambito della dimensione personale che dovrebbe essere consegnato e affidato interamente alla libertà individuale. Allora, seguendo chi la pensa così, io avrei sbagliato a scegliere il battesimo per loro quando erano tanto piccoli da non poter decidere da soli; e ho continuato a sbagliare quando ho parlato loro di Dio e di Gesù, li ho inseriti in una comunità di fede, li ho fatti pregare sin da piccoli, e così via. Quasi una violenza sulla loro fragile libertà.

Io, invece, credo che, quando scopri che cosa rende buona e bella la tua vita, hai il dovere di condividerlo con i figli e, se questo bene si chiama “Gesù Cristo”, non ci dev’essere nessuna remora a provare a farglielo incontrare: si tratta del senso e della felicità di una vita, della loro vita. Dove sta la minaccia alla loro libertà?

La fede, poi, è un incontro personale tra Dio e l’uomo che coinvolge sempre il mistero della libertà, per cui, se la fede trasmessa è autenticamente cristiana, non potrà mai prescindere dalla vera libertà.

Se è vero che solo la Verità rende liberi, se questa Verità si chiama “Gesù Cristo”, se è Lui che io propongo, mai potrà essere minacciata la libertà.

Riflettendo, poi, mi chiedo se, come genitore, sto trasmettendo la “fede” o una “religione”: è evidente che non sempre coincidono. Cos’è la fede? La grazia di un innamoramento che nasce dall’incontro personale con Gesù, Dio fatto uomo. Scopro, allora, che il mio compito di genitore è quello di creare le condizioni perché questo innamoramento accada: il resto dipende da Dio e dalla risposta di mio figlio. Che non è scontata e neanche definitiva, essendo sottoposta alle variabili della libertà umana. E, allora, può capitare di soffrire perché vedi che in tuo figlio non accade quello che tu vorresti. Aiuta in questo senso la parabola del “Padre misericordioso”: questo padre rispetta la libertà del figlio e rimane sempre in accogliente attesa del suo ritorno. E aiuta anche credere, infine, nella potenza e nell’efficacia misteriosa della preghiera, capace di far aprire il cuore a Dio. (Fabio Marangon)

 

 

Incontro necessario e fecondo

Famiglia e liturgia. Per vivere la fede e la preghiera nella quotidianità

Non ho la pretesa di dire nulla di nuovo, vorrei solo ricordare quei passaggi e strumenti che a volte non teniamo presenti. La liturgia e la famiglia sono soggetti che si sono sempre frequentati: addirittura la pasqua ebraica era celebrata nelle case non al tempio, al quale comunque si andava per diversi riti e sacrifici di animali. La sinagoga era luogo di preghiera e ascolto della Parola, ma la preghiera personale dei tre momenti della giornata era vissuta in casa e durante le attività quotidiane. Il testo degli Atti degli Apostoli ricorda che i discepoli erano insieme nella preghiera e nello spezzare il pane alla presenza degli apostoli nelle case; Paolo celebra diverse liturgie eucaristiche nelle famiglie che lo accolgono e alle quali annuncia Gesù, il Signore. Possiamo dire che la liturgia è passata successivamente in chiesa e spesso pensando che solo lì si possa vivere un incontro con Dio, mentre già il testo di Matteo dice: “Quando vuoi pregare, entra in camera tua e prega nel silenzio”. Una cosa semplice che in famiglia si può fare è leggere il Vangelo o qualche parte della Scrittura. Magari prima di mangiare o prima di coricarsi. Conosco molte persone che quotidianamente pregano la liturgia delle ore o anche solo un salmo. Come sarebbe bello ed utile ad esempio portare a casa il foglietto che in tante chiese troviamo e viene gettato via alla fine della domenica e utilizzarlo! Tenerlo in vista, rileggere il vangelo e il salmo; o leggere un brano delle letture e terminare con la colletta\preghiera iniziale della messa. In famiglia si deve tener conto della presenza di bambini, adulti e anziani; mentre si legge si possono spiegare le parole poco comprensibili, si può fare una lettura a più voci che rende più attivo il momento liturgico. Molti parroci mettono il brano del Vangelo nel foglietto parrocchiale: suggerire di leggerlo ogni giorno, magari anche solo un versetto o due, prima di cena quando tutta la famiglia si riunisce. Nel mese di maggio e spesso pure ad ottobre, molte famiglie recitano il rosario e ospitano altre famiglie o singole persone: sono momenti da non perdere anzi da incentivare, perché la pietà popolare è un presupposto bello per annunciare il Vangelo. Magari potremmo suggerire di leggere un brano di vangelo ad ogni decina e un istante di silenzio per lasciarci raggiungere dalla voce di Dio. Entrando in qualche famiglia spesso le persone, specie anziane, dicono che ascoltano la messa alla televisione o il rosario con qualche emittente cattolica: è un momento prezioso e di preghiera sincera. Farà sorridere qualcuno, eppure nell’episodio di Sara e Tobia questi sposi novelli prima di vivere l’unione matrimoniale si mettono in preghiera dinnanzi a Dio! Anche questa è Parola di Dio, quando la coppia si ritira in camera, recita una preghiera di lode e riconoscenza, vive l’intimità coniugale come dono reciproco aperto al mistero di Dio. Ancora è possibile accostarsi al Benedizionale, facendo parola con il sacerdote, e accorgersi di quanti momenti di benedizione possiamo trovare. Le più immediate sono dei genitori sui figli o prima e dopo il parto, ma ci sono anche preghiere di benedizione per la mensa, per i frutti della terra, per la prosperità e la concordia in famiglia. Nei cimiteri in montagna accanto alle tombe si trova un piccolo contenitore e chi visita le tombe dà una benedizione con l’acqua che si porta dalla chiesa; benedire diventa invocare chi di ogni benedizione è l’origine e la fonte e quindi ogni battezzato, in forza dell’unzione battesimale che è pure sacerdotale, può benedire: la mensa, un incontro. Sapessimo far risplendere di luce cristiana anche il momento di lutto: non solo con il rosario consueto ma con la veglia che è prevista nel Rito delle esequie. Da tutte queste belle possibilità di liturgia familiare si potrebbe partire e così arrivare alla parrocchia per celebrare il “giorno del Signore” e gli altri momenti della vita cristiana. Esiste un rapporto inscindibile tra la liturgia della comunità ecclesiale e la preghiera di quella “piccola chiesa” che è la famiglia, tra la vita della comunità cristiana e l’esperienza quotidiana della famiglia. Da quest’intuizione maturò, nel 2008, la scelta di celebrare un convegno sul tema Famiglia e liturgia, promosso dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia e dall’Ufficio Liturgico Nazionale, ai cui atti posso rimandare per trarre ulteriori spunti. (don Nicola Nalin)

 

 

La famiglia cristiana e l’evangelizzazione

Famiglia e missione

“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. Questo mandato interpella ancora oggi tutti i battezzati di qualsiasi vocazione. La famiglia, come primo e fondamentale ambiente educativo, è chiamata a incarnarlo nella vita di tutti i giorni.

Cosa ne pensa una coppia di sposi? Lo chiediamo a Tiziana e Fabio che appartengono alla Comunità Missionaria di Villaregia, abitano a Porto Viro (RO) e sono genitori di quattro giovani figli: Anna, Pietro e le due gemelle Letizia e Nadia.

Da quanto tempo siete sposati e avete iniziato il cammino come coppia di sposi consacrati?

“Siamo sposati da 23 anni e il nostro cammino di sposi consacrati è iniziato poco prima del nostro matrimonio quando frequentavamo, ancora fidanzati, il GimVi (Gruppo di Impegno Missionario).

Cosa significa essere coppia consacrata con il particolare volto di una Comunità Missionaria?

“Come sposi ci siamo sentiti chiamati da Dio a diventare testimoni e annunciatori della comunione trinitaria. Così, nel rispetto dei ritmi della famiglia, partecipiamo alla vita della Comunità condividendo tempo, forze e beni. Accompagniamo coppie e adulti che desiderano percorrere un cammino di formazione umana e cristiana, soprattutto cerchiamo di costruire rapporti di amicizia e di fiducia con le persone che quotidianamente incontriamo per strada, al lavoro, nella città dove viviamo.

Vorremmo sapere come i vostri figli hanno vissuto questa scelta.

“Abbiamo cercato di aiutare i nostri figli a riconoscere l’amore di Dio verso tutti gli uomini educandoli, pur nel rispetto della loro libertà, a gesti concreti di solidarietà; per esempio usare l’acqua, il cibo, il tempo senza sprecarli o approfittare dei saldi per acquistare i vestiti perché dietro ogni piccola rinuncia ci fosse il volto di un bambino con il quale condividere un vestito, un giocattolo”.

Cosa ricordate dei sette anni vissuti in Brasile, a Belo Horizonte?

“Ricordiamo la calorosa accoglienza dei fratelli brasiliani capaci di donarti tutto, sempre e ovunque anche se questo tutto, nella loro piccola baracca, è solo un bicchiere d’acqua fresca; la simpatia e l’affetto che li rende capaci di ricordarsi il tuo nome anche quando tu hai dimenticato il loro; non possiamo dimenticare la fede grande come quella di donna Maria che, quando le chiedevamo se non avesse paura a tornare da sola di notte nelle favelas dopo gli incontri parrocchiali, ci diceva che non era sola perché Dio era sempre con lei. Il nostro metterci accanto da fratelli ha fatto nascere da subito rapporti sinceri che ci hanno permesso di entrare nella sofferenza del loro vissuto come per esempio lavorare come muratore per dieci ore al giorno e non riuscire a sfamare i propri figli. Spesso ci dicevano che la nostra presenza era diventata per loro un piccolo segno di speranza”.

Grazie, Fabio e Tiziana, che ci avete dimostrato che la famiglia è in se stessa missionaria ed evangelizzatrice.   ( a cura di Ilaria Bassanello)

 

 

La famiglia genera vocazioni

Il mese di maggio è il mese delle prime comunioni, del rosario e dei matrimoni. Sono tantissimi i giovani che in questi giorni si sono uniti per sempre nel sacramento e hanno detto al mondo con la loro scelta che Dio fa parte della loro vita e che senza questa presenza viva la loro unione non sarebbe la stessa. Ogni coppia diventa destinataria di un progetto divino che abbraccia sia la coppia stessa sia i figli che nasceranno dal loro amore sponsale: è già vocazione! È riconoscere una chiamata, un dono, un invito pressante e amorevole ad aprire l’orizzonte della vita all’orizzonte del cielo, è in sintesi opera educativa. Le nuove famiglie che fanno parte delle nuove generazioni si trovano oggi su una terra di mezzo difficile e allo stesso tempo straordinaria, nella quale l’inatteso potrebbe fare capolino da un momento all’altro: è un tempo nuovo in cui l’opera educativa è l’arte della sorpresa e della fiducia in questo tempo storico. Ogni generazione è segnata dal clima culturale in cui è nata e in cui è cresciuta: il prossimo futuro sarà abitato da giovani che sanno adattarsi alle condizioni personali e sociali in continuo cambiamento, che sanno imparare le lingue degli uomini e che in un clic possono essere nel cuore e nella vita di altri che abitano lontanissimi. Anche questo è luogo vocazionale, nuovo, in cui le forme tradizionali sono state superate e quelle nuove sono mutevoli e incerte. Ma quando Gesù ha chiamato i primi discepoli a seguirlo forse non era così? Magari questo tempo è più evangelico e vocazionale di quello appena trascorso: le vocazioni non sono questione di numeri, ma volti illuminati da Dio che han detto di sì perché affascinati da Dio grazie a dei genitori che a modo loro sono riusciti a trasmettere loro che rispondere a Dio si può ed è bello. (don Damiano Vianello)

 

 

 

Famiglia e mass media

Quale immagine di famiglia nei mass media e come accostare in famiglia i media? Un compito educativo che si carica di responsabilità, ma anche di nuove speranze

L’immagine di “famiglia” che compare prevalentemente nei mass media non è certo a favore della famiglia in quanto tale, cioè della sua identità di comunità d’amore, di comunità educante, o di comunità aperta alla società e alla chiesa. Piuttosto, dalle soap opera al Grande fratello, o anche semplicemente ai tanti talk show che affrontano tematiche familiari, o a spettacoli musicali e di varietà, o anche ai telegiornali, quel che emerge è una famiglia disastrata e bistrattata, anzi, spesso, una caricatura di famiglia. La stessa cosa si può dire per i nuovi media, dove la percentuale di discorsi seri e costruttivi sulla famiglia risulta minimale rispetto alla congerie di informazioni e di deformazioni che mirano ad annacquare o ad alterare l’istituto familiare.

Specchio e realtà

Ma si potrebbe anche dire che, in fondo, i media sono lo specchio di una realtà familiare, in molti casi e per molti aspetti, già sgretolata e alterata, mentre essi stessi contribuiscono, a loro modo, ad aggravarne la situazione.

Non mancano certamente – ma solo in alcune emittenti e in alcuni siti – programmi e servizi che promuovono e sostengono la famiglia, ne descrivono e ne alimentano la sua autentica identità e il suo valore fondamentale per la società come per la chiesa. Ma, come si diceva, ciò che sembra prevalere è ben altro.

In realtà, questa visione piuttosto cupa male si attaglia con la prospettiva fondamentalmente positiva che il magistero della Chiesa ci propone nei riguardi dei mass media, strumenti “meravigliosi” dell’intelligenza umana, capaci di creare nuovi e infiniti rapporti tra le persone e tra i popoli, forza unificante dell’intera famiglia umana, nuovo areopago per una più ampia ed efficace evangelizzazione. In questo senso siamo stimolati ad apprezzare e valorizzare quanto di buono emerge in e da questi strumenti, anche a beneficio della famiglia in tutte le sue sfaccettature, dalla dimensione educativa a quella sociale, da quella psicologica a quella economica, ecc.

I mass media ci pongono direttamente di fronte anche alle “nuove famiglie”, alle “famiglie di fatto”, alle “famiglie ricostituite”, che sono una realtà diffusa ormai nella nostra società e nella nostra cultura. Ci provocano dunque a fare i conti con esse e a modulare anche il nostro linguaggio e il nostro modo di annunciare o di affrontare le tematiche familiari. Senza trascurare, peraltro, di far conoscere e di proclamare un messaggio autentico e positivo sulla famiglia in quanto tale, facendo ricorso anche a testimonianze e ad esperienze che sicuramente non mancano.

Famiglia e media

Ma, oltre al tema complesso della “famiglia nei media”, c’è poi tutto un altro capitolo che riguarda “la famiglia e i media”, cioè l’atteggiamento e le modalità di approccio che una famiglia, serenamente e positivamente educante, dovrebbe assumere nei riguardi del sempre più articolato mondo dei mass media, dalla stampa al cinema, dal teatro ai concerti, dalla radio alla televisione, dai cellulari agli smartphone, dai siti internet ai social network. Conosciamo tutti le esitazioni e i timori di tanti genitori nei riguardi dei minori o dei figli in generale, esposti all’insidiosa onnipresenza di questi strumenti. Si tratta, evidentemente, di aiutare i figli ad un uso corretto ed equilibrato di questi variegati, portentosi e sempre più attraenti e coinvolgenti mezzi di comunicazione. Prima di tutto è necessario che gli adulti vivano, e dimostrino di avere, un rapporto equilibrato e positivo con i media, che si esprime nella sobrietà dell’uso e nella capacità di scelta, come pure nell’impegno a conoscere meglio i nuovi media e nel coraggio di entrarvi e di usufruirne in modo corretto e propositivo. La visione positiva a cui si accennava – ribadita in tutti i principali documenti ecclesiali e in tutti i messaggi pontifici per le Giornate delle comunicazioni sociali – deve metterci in guardia dal demonizzare questi mezzi, ma ci stimola piuttosto a farne buon uso, evitandone i rischi e promuovendone le potenzialità.

Un analogo sentimento, ci pare, va trasmesso alle nuove generazioni. L’innegabile evoluzione che vede il mondo del web imporsi progressivamente sugli altri strumenti tradizionali ci avverte anche della maggiore competenza e versatilità dei giovani e dei ragazzi su questo fronte: solo con una visione positiva, unita ad una crescente capacità critica, da formare ed educare pazientemente, potranno trarne beneficio. Al tempo stesso sarà opportuno far cogliere ai giovani la valenza storica e sociale degli strumenti classici – dalla stampa alla radio, dal cinema al teatro, ma anche alla tv – per evitare che i nuovi media diventino il grande moloch che divora ogni altra espressione e modalità comunicativa, ricche invece di suggestioni e di una forte carica culturale ed emozionale.

In quest’ottica la famiglia può diventare davvero l’alveo in cui si forma e matura una mentalità adeguata alle sfide che tutti i mass media, e i nuovi media in particolare, pongono alla nostra società. Una sfida che merita certamente di essere accolta e vissuta, portata avanti pazientemente e con fiducia, mettendo in conto anche qualche insuccesso, ma facendo perno su un’educazione globale che punti, anche in tempi lunghi, ad un recupero di valori e di maturità personale e sociale.

Se il messaggio che spesso arriva dal variegato mondo dei media nei riguardi della famiglia e per la famiglia ci può apparire negativo o problematico, è anche vero, infine – ma costantemente e non solo …alla fine – che possiamo in vari modi far passare messaggi positivi, ispirati dalla luce del Vangelo, che sa fare breccia anche dove può non sembrare possibile. Questo ci proponeva – a ciascuno di noi, alla gente impegnata nella vita ecclesiale, ma anche ad ogni famiglia cristiana ed anzi a tutta la famiglia umana – il tema suggestivo e programmatico dell’ultima Giornata delle Comunicazioni sociali, suggerito a suo tempo dal papa emerito Benedetto XVI, che definiva addirittura i più recenti media, i social network, cioè le “reti sociali”, come “vie di verità e di fede: nuovi spazi per l’evangelizzazione”. (Vincenzo Tosello)

 

 

La Settimana Sociale in programmazione a Torino, dal 12 al 15 settembre 2013

La famiglia: speranza e futuro per la società italiana

La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. (art 29 della Costituzione Italiana)

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. (art. 31 della Costituzione Italiana)

Basterebbero partire dal dettato costituzionale per iniziare una riflessione seria su come oggi in Italia la Famiglia si ponga al “crocevia” del nostro vivere e in contemporanea nella costruzione del nostro futuro. Da quando i padri costituzionali – che provenivano da matrici culturalmente antitetiche – trovarono nella famiglia un punto di equilibrio per molti aspetti mirabile, tanta storia è passata sotto i ponti delle vicende umane. Il nuovo diritto di famiglia, le battaglie che il mondo femminista ha portato avanti sull’idea di matrimonio e maternità, le leggi sul divorzio e l’interruzione volontaria della gravidanza, la presenza di nuovi modelli culturali che ripropongono l’idea delle “famiglie” e non della famiglia e, infine, la nuova presenza di famiglie immigrate che costituiscono anch’esse nuovi modelli di familiarità.

Di tutto questo si occuperà la Settimana Sociale che si svolgerà a Torino il 12-15 settembre e che vedrà focalizzato il tema “La famiglia, speranza e futuro per la società italiana”. Questione importante che – solo per rimanere alle ultime news di questi giorni – s’inserisce nel dibattito culturale ad esempio sulla cittadinanza italiana per ius soli, cioè per ‘diritto di suolo’ e non di sangue.

La famiglia dunque. Il documento preparatorio è troppo vasto per poterlo sintetizzare; elencherò solo le principali domande che il testo pone a chi a questa Settimana parteciperà.

Sul legame tra famiglia e società: Come aiutare chi ha celebrato ieri e chi celebra oggi le nozze a concepire la propria unione come un impegno di responsabilità anche nei confronti degli altri e della società?

Sul cambiamento culturale dell’istituto familiare: Come riconoscere e contrastare le fratture tipiche del mondo attuale nelle esperienze personali e comunitarie che incontriamo? Come aiutare la famiglia a svolgere il suo compito educativo e generativo di identità?

Sul rapporto famiglia, lavoro e società: Per quali dinamiche sociali o quali pregiudizi la famiglia è considerata soprattutto come consumatrice e non come produttrice di beni, come soggetto passivo e non attivo dell’economia? Come realizzare un’autentica solidarietà nei confronti delle famiglie ferite o in difficoltà e valorizzare le esperienze associative solidaristiche tra famiglie? Come aprire una nuova stagione di politiche della famiglia, per rispondere ai suoi bisogni pur nella crisi del welfare?

Sulla questione immigrazione: Quali azioni intraprendere a livello ecclesiale e civile per mettere la famiglia al centro delle politiche dedicate agli immigrati?

Sono molte le questioni che il convegno di Torino metterà a fuoco e ciò che emergerà non sarà insensibile anche alla travagliata situazione politico e sociale che il nostro Paese sta vivendo in questi mesi. Bisognerà vedere ad esempio se l’amministrazione centrale del Governo si doterà in maniera ufficiale di un ministero della famiglia, come altri Governi centrali si erano dotati. (M. C.)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 21 del 26 maggio 2013