Arte e liturgia

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Finestra sulla liturgia

Arte e liturgia

Anche le arti figurative, al pari della musica, fanno parte dell’azione sacramentale della chiesa; e questo non solo nell’atto celebrativo. Il testo principale sull’arte, uscito dal Vaticano II si trova nell’ultimo capitolo della Costituzione sulla Liturgia. Il Concilio classifica l’arte “tra le più nobili attività dell’ingegno umano”; in particolare l’arte sacra è finalizzata a esprimere “l’infinita bellezza di Dio, a stimolare l’incremento della sua lode e della sua gloria” (SC, 122). Il Concilio dichiara inoltre che la Chiesa non è legata a “un particolare stile artistico, ma ammette le forme artistiche di ogni epoca (…), anche l’arte del nostro tempo e di tutti i popoli (…), purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti” (SC, 123). In una parola, dev’essere a servizio della liturgia e del luogo sacro; il che non significa una minaccia all’autonomia dell’arte, ma che la Chiesa accoglie le opere d’arte che si assumono l’onere-onore di tener conto del culto cristiano.

 

Per questo il Sinodo Diocesano 1988, nel cap. 7, richiama in alcune costituzioni l’attenzione al significato del tempio, l’importanza della funzionalità all’assemblea che celebra (nn. 224, 225), l’esigenza per i pastori di conoscere, tutelare e valorizzare il patrimonio artistico delle singole chiese (n. 226), l’impegno a trovare la giusta collocazione del SS.mo Sacramento (n. 227) e a curare la pulizia e il decoro anche nella suppellettile e nei paramenti (n. 228). Quanto esiste nello spazio di un tempio deve avvolgere il fedele o il visitatore come un abbraccio che viene da Cristo, deve adombrare il mistero della Chiesa come grembo materno deputato alla generazione di figli, alla formazione degli stessi fino alla nascita al Cielo. S. Paolo allude a questo concetto, quando scrive ai fedeli della Galazia chiamandoli “figli miei, che io partorisco di nuovo nel dolore, finché non sia formato Cristo in voi” (Gal 4, 19). In sostanza egli scrive identificandosi con la Chiesa, per opera della quale nasce e si forma Cristo in quanti ricevono e assimilano il Vangelo. Perciò l’edificio-chiesa, anche per fuori, deve richiamare Cristo e la nobile funzione generativa (è diverso che una chiesa nasca a forma di chiocciola o di tenda, di un’ala distesa o di una casa: si può sconfinare nella bizzarria!). All’interno deve evocare ‘il mistero’ attraverso la nobiltà degli spazi, la distinzione dei poli celebrativi, l’arredo artistico e il corredo di segni: il mistero del Cristo pasquale, che attende di attualizzarsi nel popolo di Dio chiamato a celebrare.

Ma non tutte quelle che si dicono opere d’arte possono essere accolte con destinazione ecclesiale. Anzitutto va rispettato il criterio della sobrietà nell’arredo della navata e del coro di una chiesa. Esistono poi delle qualità cui dovrebbero soddisfare le opere da destinarsi stabilmente a una chiesa: il valore artistico intrinseco o una certa perfezione estetica, la capacità di integrarsi spazialmente nel contesto del luogo sacro, la dignità sacra dell’opera, lo spessore di significato della stessa (i colori che pure suscitano emozioni non bastano da soli!). È per questo che il Sinodo richiama al dovere di interessare la Commissione diocesana d’Arte sacra prima di alienare o commissionare o esporre in permanenza opere d’arte. Dopo la recente Inventariazione Informatica CEI dei beni mobili (a. 2005-2008) e immobili (a. 2008-2010) del nostro patrimonio artistico, l’attenzione dei pastori dovrebbe essere rivolta anche a non rimuovere o spostare singole opere d’arte, visto che nell’inventario perfino la ‘collocazione’ della suppellettile di sacrestia contempla un campo fisso. Deve prevalere ovviamente il criterio pratico dell’efficienza liturgica. Ma tutto va condito con quel grano di sale che trova soluzioni momentanee, senza intaccare l’assetto stabile dell’arredo. (G. Marangon)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 17 del 28 aprile 2013