Cosa ci viene chiesto, oggi?

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Incontro dei giovani preti

Cosa ci viene chiesto, oggi?

Cosa vuol dire, oggi, proporre un cammino di “formazione permanente” ad un gruppo di preti che navigano nel primo tratto della loro esperienza pastorale comprensiva degli iniziali dieci anni di ministero? Vuol dire prima di tutto, anche nella logica dei numeri ridotti, accogliere la complessità di storie, di itinerari formativi, di psicologie e modalità d’essere presbiteri molto differenziate. Certamente si è preti e ci si riconosce in un servizio particolare nella Chiesa Locale – ecco la caratteristica del prete diocesano! – che normalmente si configura nella pastorale della parrocchia, dell’ordinarietà della comunità cristiana. Gli incontri con le persone, la catechesi, l’essere inseriti nelle tante storie della vita normale, quotidiana delle persone; non a caso siamo chiamati “preti secolari”, cioè che vivono nel secolo. Tutto questo com’è

vissuto oggi in quella parte del clero che forse più risente della società liquida, dove le certezze della fede e della pratica cristiana sono emigrate altrove, probabilmente in un non-luogo? Domande difficili dove ci vuol già una discreta dose di coraggio per posizionarle dentro cuore e mente di un presbitero (non solo giovane…).

A questo ci siamo dedicati nell’uscita seguita al ritiro mensile di giovedì 21 febbraio. Metodologicamente ci diamo uno spazio di tempo che comprende il pomeriggio del giovedì e la mattinata del venerdì, prendendo le distanze anche geografiche dai nostri luoghi di residenza e di lavoro. Facciamo un po’ come le aziende e le cooperative che nei tempi dedicati alla formazione chiedono ai loro soci di ‘distanziarsi’ dai luoghi lavorativi …. Serve per creare l’ambiente adatto per un lavoro altro da quello della semplice produzione. Così è stato anche per noi che evidentemente un’azienda non siamo e dove il motivo si riconduce all’invito del Signore Gesù: “Venite in disparte e riposatevi un po’…”.

Cosa viene chiesto oggi ad un presbitero, specialmente giovane? Tre le ‘dimensioni’ che caratterizzano la vita di un prete oggi: la capacità di essere e diventare pienamente uomo maturo; la costanza e la centralità del discepolato cristiano; la motivazione sempre da rinnovare dell’essere presbitero della Chiesa Universale inserito (incardinato si dice con linguaggio giuridico) dentro una Diocesi. In questo senso prendono forma tutte le riflessioni scaturite dalla nostra formazione permanente. La nostra umanità come si rapporta con la altre umanità che intercettiamo; l’esercizio anche per il presbitero di qualità umane come la pazienza, la capacità ci dialogare con tutti, uomini e donne; la gestione della nostra affettività e sessualità in una cultura pansessualista dove immagini e corpi entrano prepotentemente dentro i nostri computer che sempre più sono i nostri strumenti di lavoro. Fuggire non è possibile, rinchiudersi in mondi dorati, un po’ isolati, non produce grandi risultati, bisogna agganciarsi ad un saldo e forte discepolato che dia ragione della fede vissuta da un prete giovane. Bonhoeffer la chiamava la sequela, ad indicare anche il lato un po’ oscuro, quando nel discepolato incontriamo fatiche e difficoltà. Infine l’esercizio del presbiterato nella pratica sacramentale, nella presidenza dell’eucaristia, nel sacramento della Riconciliazione amministrato e ricevuto come ricordato da don Chino Biscontin nell’ultimo ritiro. Senso del discepolato ben espresso da don Franco Mosconi, monaco Camaldolese presente nella Casa delle Suore della Sacra Famiglia, dov’eravamo ospitati, per la predicazione di un corso di spiritualità a laici e religiose con i quali venerdì, giornata conclusiva dell’esperienza loro e nostra, abbiamo condiviso la celebrazione eucaristica e l’omelia da don Franco proposta. Era la festa della Cattedra di San Pietro, festa che ha assunto un particolare significato per i giorni che attendono la scelta di Papa Benedetto. Il brano evangelico della domanda di Gesù “La gente chi dice che io sia?”, acutamente rivolta a Cesarea di Filippo in un territorio di confine, lontano e dislocato dai centri, pone anche a noi la percezione che forse le domande e le richieste più forti nel nostro discepolato nascono quando siamo “distanti” dai grandi centri e forse dalle grandi celebrazioni. Nascono proprio quando ci sentiamo ai confini, ai margini, quando ci sentiamo fuori dalla considerazione positiva delle persone, quando i margini diventano i nostri centri di fatica e, qualche volta, di piccole solitudini. “Chi sono secondo voi?”. Per capire la nostra chiamata e il nostro ministero si parte sempre da questa domanda e dalla risposta che siamo capaci di dare. (mc)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 9 del 3 marzo 2013