Celebrare la vita

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Finestra sulla liturgia

Celebrare la vita

C’è un altro principio che sta a fondamento dello sviluppo della celebrazione liturgica: “L’attualizzazione del mistero pasquale che avviene nella liturgia non deve costituire una forma di alienazione, ma deve arricchire di energie spirituali sempre nuove la vita e la storia dei singoli fedeli e di tutta la comunità cristiana; così arricchiti dalla partecipazione alla fonte della salvezza essi saranno nel mondo strumenti di santificazione e di promozione umana. Per questo la celebrazione liturgica deve saldarsi fortemente con la vita per non perdere il suo senso ultimo vanificando così il suo intrinseco valore” (art. 146).

 

La questione è nodale e riflette il vissuto non sempre positivo dei nostri cristiani: da una parte la fede, le manifestazioni ad essa correlate, le tradizioni vengono gelosamente conservate, e, dall’altra, la vita, le scelte morali, l’impegno per la verità e la giustizia seguono la logica dell’interesse immediato o del sentimento. Si tratta di una dicotomia che vanifica la testimonianza, ma che, ancor prima, consacra l’incoerenza e si adegua alla cultura dell’apparenza.

Gli orientamenti che derivano dal principio citato sottolineano perciò l’esigenza della partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia non soltanto attraverso l’esercizio della ministerialità, ma anche attraverso il recupero della loro esistenza. Viene stabilita perfino una norma che impegna i presbiteri: “Da parte del presidente la liturgia va attualizzata attraverso contenuti omiletici concreti e vicini ai problemi di vita dei fedeli, attraverso proposte di preghiera e sobrie monizioni che facciamo risuonare le ansie e le speranze dell’uomo d’oggi, rendendo anche la storia elemento di celebrazione”.

Risulta chiaro che non si tratta di inventare particolari riti e segni, ma di far respirare l’assemblea con due polmoni, quello del mistero celebrato e quello della storia. Del resto il mistero viene celebrato nel memoriale proprio per essere disponibile con la ricchezza della sua grazia alla vita degli uomini di ogni tempo. E la vita, il mondo, la storia sono recuperati dalla loro insignificanza proprio attraverso l’inserimento nella storia della salvezza, di cui la celebrazione liturgica è il “momento ultimo”, l’espressione più prossima a noi.

Risulta fondamentale ancora una volta la preparazione. Il presbitero, diceva don Chino nell’ultimo ritiro spirituale dei preti, dovrebbe cominciare la preparazione all’omelia già il martedì precedente; l’ascolto della Parola infatti si prolungherà nell’arco della settimana arricchito dal confronto con quei frammenti di storia che rendono attuale quella Parola e perciò incisiva nel momento in cui viene tradotta in proposta omiletica. Anche l’introduzione alla celebrazione, così come gli avvisi previsti al suo termine, sono chiamati a legare “il momento celebrativo con la vita” (cfr art. 147 e 149). I fedeli dal canto loro sono chiamati ad “arrivare alla celebrazione (…) attrezzati di una maggiore conoscenza e di una cristiana interpretazione della storia attuale della chiesa e del mondo, da promuovere anche attraverso la diffusione della stampa cattolica” (art. 150). È plastica l’idea che ci si prepara alla celebrazione leggendo il giornale, ma la sua presunta originalità non fa che denunciare la fatica del tenere unite fede celebrata e fede vissuta. (don Francesco Zenna)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 5 del 3 febbraio 2013