Speciale migranti

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Speciale migranti

Immigrati. Dal Triveneto un messaggio di preoccupazione, un appello alle comunità cristiane e una richiesta all’Unione Europea

Tra i più indifesi

L’Italia sono anche loro

Una questione morale

 

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Tra i più indifesi

In occasione della 99° Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si terrà il 13 gennaio, dalla Commissione episcopale triveneta per il settore Migrantes e dai direttori della Migrantes del Triveneto è giunto oggi un messaggio di preoccupazione. “Gli immigrati sono tra coloro che pagano il prezzo pesante della disoccupazione e della conseguente disgregazione delle famiglie, perché vengono rimandati ai paesi d’origine alcuni componenti dei nuclei familiari e si accresce il pericolo, per molti, di entrare in condizione di irregolarità e di accettare situazioni di lavoro irregolare e talora di sfruttamento, pur di garantire una vita dignitosa ai familiari”, scrive la Commissione Migrantes nel messaggio, facendo notare come gli immigrati nel Nordest siano già diminuiti di 50mila unità negli ultimi anni (Dossier Migrantes-Caritas 2012).

Una mentalità e una cultura per la persona. Il patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, intervenuto alla conferenza stampa di presentazione del documento, ha chiesto con forza un maggiore impegno dell’Unione Europea per una politica comune nei confronti dei migranti. “Mi pare che l’Italia sia stata lasciata un po’ troppo sola e che serva una politica europea per garantire l’accoglienza, così come ci si è mossi con impegno nel settore dell’economia”, ha commentato, riaffermando contestualmente il diritto dell’uomo a non emigrare, come richiamato anche dal messaggio di Papa Benedetto XVI in occasione della Giornata dei migranti. “Lasciare la propria terra è quasi sempre un trauma e spesso lo si fa non per migliorare le proprie condizioni di vita, ma solo per la sopravvivenza. Lo sa bene una terra come il Veneto, patria di migranti”, ha ribadito mons. Moraglia, ricordando che la Giornata del migrante forse non a caso fu istituita, nel 1914, da un papa veneto, Pio X. Alla domanda sulla posizione della Chiesa triveneta in merito alla richiesta di concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, mons. Moraglia ha dichiarato che ciò che sta a cuore alla Chiesa è promuovere una mentalità e una cultura che consideri “la persona nel suo insieme, la accolga, la accompagni e la valorizzi”. “Auspico – ha detto – che un tema così importante non diventi occasione di lacerazioni e che una legge di questo tipo, se verrà adottata, non venga letta come un togliere qualcosa a qualcuno. Per non restare lettera morta, dovrà comunque essere frutto di una cultura condivisa”.

La maggioranza è cristiana. Secondo i dati forniti da Migrantes, la stima dell’appartenenza religiosa dei 774mila immigrati presenti nel Triveneto è che oltre la metà siano cristiani (per la precisione il 54%, ovvero 417mila, suddivisi in 29,6% ortodossi, 19,2 cattolici e solo 4,4% protestanti) e un terzo musulmani (255mila, 33%), il 6 % appartenenti a tradizioni religiose orientali. Monsignor Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia e delegato Cet per i Migrantes, ha sottolineato quindi l’impegno della chiesa triveneta in supporto di tutti i migranti, ma in particolare l’accoglienza pastorale nei confronti dei cattolici. “Sono ormai oltre 100 i Centri pastorali diocesani per gli immigrati cattolici nel Triveneto, e ben 60 sono i sacerdoti provenienti dai vari paesi d’origine che seguono le proprie comunità nei loro cammini di fede. Molti provengono dall’est europeo ma giungono anche da Africa, Estremo oriente e America del Sud”, ha spiegato mons. Tessarollo.

Accoglienza e tutela. Mons. Ferruccio Sant, coordinatore Triveneto della Commissione Migrantes, ha ricordato invece l’impegno di Migrantes, istituzione che ha compiuto i 25 anni di vita e che non si occupa solo di immigrati ma anche di emigrati italiani, della gente dello spettacolo viaggiante, di nomadi, Rom e Sinti nonché di rifugiati, profughi, apolidi e richiedenti asilo. “Il nostro Statuto – ha spiegato – ci chiede di promuovere nelle comunità cristiane un atteggiamento e opere di fraterna accoglienza, ma anche la tutela dei diritti delle persone e della famiglia, la non discriminazione, la promozione dei diritti di cittadinanza”. “Nel percorso di integrazione degli immigrati – ha poi ammesso mons. Sant – dobbiamo riconoscere che la loro partecipazione alla vita parrocchiale non è ancora frequente, nonostante i figli seguano sempre più spesso i percorsi catechistici e di iniziazione cristiana. Gli immigrati preferiscono seguire la liturgia presso le cappellanie o i loro centri pastorali, sia perché si ritrovano con i propri connazionali, sia perché le comunità faticano ancora ad accoglierli”. “Capita che molti immigrati – ha continuato – in parrocchia si sentano isolati, e anche dal punto di vista culturale non sempre si ritrovano nelle nostre cerimonie, sentite come troppo fredde. Per questo stiamo proponendo alle comunità straniere, in occasione della Giornata del migrante, di non trovarsi solo tra di loro ma di andare invece ad animare le messe nelle parrocchie, come avverrà, ad esempio, domenica 13 nella diocesi di Vittorio Veneto”. (Emanuele Cenghiaro – Vicenza)

 

 

L’Italia sono anche loro

Nel Messaggio della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno, Benedetto XVI ricorda “la sofferenza”, “la povertà”, “la disperazione” che mette in cammino molte persone oggi. Da Bari e dalla terra di Puglia, non poco segnata da fenomeni di caporalato che hanno generato nella Capitanata, da Foggia a Nardò fino a Otranto, esperienze di tutela dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie, la Chiesa italiana condivide quest’anno anzitutto il dramma di chi, migrante, è sfruttato e abbandonato. Nel Dossier statistico del 2012, curato dalla Caritas e dalla Migrantes, si segnala come le migrazioni nascono in un mondo di 1 miliardo e 200 milioni di persone che vivono nella povertà. Sono persone e famiglie, uomini e donne, giovani e adulti che provengono dai tanti focolai di guerra, alcuni conosciuti e altri dimenticati, da 1.2 miliardi di persone che vivono in regimi dispotici (34) o in Stati fragili (43) alle prese con degrado, povertà ed emergenze ambientali o umanitarie. Nel 2011 l’Italia ha vissuto l’incontro con 62 mila di queste persone che sono arrivate sulle nostre coste, in particolare nell’isola di Lampedusa, provenienti dal Nord Africa, che viveva quella che è stata definita “la primavera araba”, ma originari di molti Paesi del Centro o del Corno d’Africa. Un incontro che si è trasformato per oltre 25 mila persone in accoglienza, all’interno di molte strutture dei comuni e delle parrocchie, anche se purtroppo in una emergenza non programmata e accompagnata, con il rischio di scadere in una nuova forma di assistenzialismo. È questo “mero assistenzialismo” che il Santo Padre condanna nel Messaggio, mentre invita a promuovere soprattutto “l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri”. È un invito per noi a continuare il cammino di riconoscimento della cittadinanza dei minori stranieri nati in Italia – oltre 650 mila – iniziato nella Settimana sociale dei cattolici italiani a Reggio Calabria nel 2010, continuato con la campagna “L’Italia sono anch’io”, condivisa con il variegato mondo associativo italiano, fino alla proposta di legge popolare di modifica della legge sulla cittadinanza con l’estensione dello jus soli ai bambini figli di genitori stranieri nati in Italia.

“Fede e speranza – ricorda nel Messaggio Benedetto XVI – riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano, consapevoli che con esse ‘noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino” (Enciclica Spe salvi, 1).

Trasformare il cammino di disperazione di tante persone – oggi sono stimati dall’Onu in 214 milioni i migranti nel mondo, di cui circa 160 milioni migranti economici e 60 milioni rifugiati e profughi – in un cammino di speranza diventa un impegno, una sfida educativa per le nostre comunità civili e religiose, se non si vuole che il cammino di disperazione si trasformi in un nuovo conflitto e scontro sociale. (Giancarlo Perego – direttore generale Fondazione Migrantes)

 

 

A Roma la conferenza stampa di Migrantes in vista di domenica 13 gennaio

Una questione morale

“Tutti sappiamo che l’immigrazione non è un problema semplice: è una questione che evoca forti passioni e dibattiti di sicurezza nazionale, economica, legali, sociali; ma coinvolge anche la dignità fondamentale e la vita della persona, creata a immagine e somiglianza di Dio. E a causa di questo è in primo luogo una questione morale che occupa e preoccupa la Chiesa”. Queste le parole di mons. Paolo Schiavon, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Commissione Cei per le migrazioni (Cemi) e della Fondazione Migrantes, intervenuto oggi a Roma, nella sede di Radio Vaticana, alla presentazione della prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebra domenica 13 gennaio (è disponibile uno speciale Sir-Migrantes in *pdf). La conferenza stampa è stata moderata dal sottosegretario Cei e direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della stessa Cei, mons. Domenico Pompili, il quale ha ricordato come “la Chiesa sia ben consapevole del diritto delle persone a emigrare e del diritto, ancora più struggente, a non emigrare, cioè a poter vivere nella propria patria”.

Cittadinanza a 650.000 minori stranieri. “La qualità della nostra democrazia italiana ed europea passa necessariamente attraverso la qualità delle risposte alle persone e famiglie in cammino e in fuga, non solo in termini di accoglienza e di percorsi d’integrazione, ma anche in termini di cooperazione internazionale che permetta alle persone di vivere nel proprio Paese”. Lo ha detto mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. Mons. Perego ha poi ricordato che in Italia per ottenere la cittadinanza occorrono 10 anni, “il limite massimo previsto dalla Convenzione europea sulla cittadinanza”: “Prevedere il ritorno a cinque anni di residenza per ottenere la cittadinanza – ha spiegato – significa adeguarsi agli standard internazionali e favorire partecipazione e inclusione sociale”. In Italia vige infatti il principio dello “jus sanguinis” per ottenere la cittadinanza: questo comporta “di fatto l’esclusione e la differenziazione sociale di quasi 650 mila minori nati in Italia da genitori immigrati. Sembra dunque il tempo, come del resto hanno scelto di fare la maggior parte degli Stati europei, di ampliare anche in Italia lo ‘jus soli’, cioè l’acquisto della cittadinanza italiana per nascita sul territorio”. “L’accesso alla cittadinanza di chi nasce in Italia come anche la riduzione dei tempi per il riconoscimento della cittadinanza italiana – ha detto ancora mons. Perego – portano con sé un’immediata o più veloce accessibilità alla partecipazione al voto, allo svolgimento del servizio civile da parte dei giovani tra i 18 e i 28 anni, che sono due strumenti importanti per la crescita della responsabilità e per una completa inclusione nella vita italiana, favorendo la crescita della democrazia e della coesione sociale”. Rispondendo ai giornalisti mons. Perego ha confermato che la cittadinanza “rimane una proposta importante alle forze politiche in vista delle elezioni”. “Purtroppo – ha precisato – sono state consegnate 23 proposte di modifica della legge, e non c’è ancora unitarietà sul piano politico. Questo rende difficile vedere a breve un cambiamento della legge. Speriamo che anche le forze politiche considerino gli immigrati come una risorsa, visto che il 72% italiani, come risulta da un recente sondaggio, è favorevole alla cittadinanza e il 74% al voto amministrativo. Ciò significa una crescita di attenzione non solo culturale ma anche sul piano politico e sociale”.

Bene accordo Stato-Regioni su sanità. L’accordo Stato-Regioni in materia sanitaria sugli stranieri, siglato il 27 dicembre scorso, “fornisce un quadro non più discrezionale”, visto che “il superamento della discrezionalità è elemento determinante per le politiche dell’immigrazione”: ha detto ancora mons. Perego, commentando quanto espresso poco prima dal ministro della Sanità Renato Balduzzi, intervenuto alla conferenza stampa. Balduzzi ha ringraziato la Chiesa italiana “per l’attenzione nei confronti del fenomeno migratorio”. Balduzzi ha anche espresso “soddisfazione” per il recente accordo intitolato “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l’assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome italiane”, che mette ordine sulle norme in materia di assistenza sanitaria a cittadini stranieri e comunitari, compresi i minori senza titolo di soggiorno.

“L’accordo ha richiesto un lavoro di quattro anni”, ha ricordato Balduzzi, auspicando che “al diritto proclamato possa seguire una sua applicazione serena e tranquilla”: “Sarebbe indegno, per un Paese civile, non mettere a disposizione il proprio sistema sanitario”. Il ministro ha concluso apprezzando “l’interlocuzione tra pubblici poteri e società civile”, tra cui la Caritas di Roma, che ha portato alla stesura dell’accordo.

 

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 2 del 13 gennaio 2013