Incontra: Avvento-Caritas

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COSTRUIRE PERCORSI, ACCOMPAGNARE PERSONE

La Caritas: per quale carità?

Antenne nel territorio

L’esperienza del “recupero possibile”

Catechesi e carità

Sono un amministratore in tempi difficili…

La carità: virtù o ministero?

Il volto della Chiesa si fa prossimo

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COSTRUIRE PERCORSI, ACCOMPAGNARE PERSONE

Tre vogliono essere le direttive per poter fare delle proposte che nelle nostre comunità parrocchiali possano essere accolte e vissute in questo particolare tempo di Avvento. In questo numero di In.Con.Tra. queste tre dimensioni trovano diverse applicazioni e piani di lettura.

Pensare la Carità: viene ancora prima del “fare” la carità. Una carità non pensata come percorso di accompagnamento, come capacità di leggere i volti – antichi e nuovi – della povertà, diventa una carità di corto respiro, di facili emozioni. Sul tema del pensare la carità, si sofferma prima di tutto il nostro vescovo Adriano con l’invito ormai inderogabile a costituire le Caritas nelle parrocchie e nelle Unità pastorali. La Caritas parrocchiale è la prima forma di pensiero che anticipa ogni prassi.

Costruire percorsi. Qui si inseriscono i contributi di Lucio e Lucia che all’interno del lavoro nei Centri di Ascolto (prima concretizzazione di un ‘fare’ per una Caritas parrocchiale) ci aiutano a cogliere in forma pensata i volti nuovi della povertà, così come si sta manifestando in diocesi. Tale modalità di costruzione di percorsi, ha trovato in questi ultimi anni un momento di sintesi e di lettura della povertà nei Report che a maggio presentiamo nelle zone del veneziano e del rodigino afferenti al territorio diocesano.

Accompagnare persone. Sull’accompagnamento delle persone portiamo due esperienze che Rudi Janes sta coordinando sul tema della riparazione della pena o del reato dal titolo “Recupero Possibile”. Si parla poi di buona prassi con l’articolo di Amelio e Mauro che illustrano alcune semplici applicazioni del materiale di Avvento che mettiamo a disposizione delle parrocchie. Ma la Caritas non è l’unico soggetto a dover costruire percorsi ed accompagnare persone; anche l’ente pubblico è chiamato a indicare e strutturare percorsi di lotta alla povertà e al disagio e su questo tema è possibile leggere il contributo della dott.ssa Veronica Pasetto, assessore ai servizi sociali del Comune di Taglio di Po. Giorgio Rossi ci propone una riflessione sulla dimensione formativa che è diventata prevalente in questi ultimi anni con proposte di incontri nelle parrocchie e nei vicariati (cinque corsi in tutti i vicariati sul senso della Caritas). Anche Attilio Gibbin pone una riflessione su cosa significhi oggi passare da una considerazione della carità intesa come gesto personale ad una visione della carità come coscienza di chiesa nella sua forma a tutti accessibile, cioè la parrocchia.

Tutto questo per arrivare ancora al punto di partenza: rendere la carità pensata prassi condivisa nelle nostre comunità cristiane, accogliendo e valorizzando esperienze, valorizzando vissuti che nascono anche al di fuori dell’ambito caritas e dell’ambito ecclesiale, trovando nella Caritas lo spazio dove ognuno valorizza i sui carismi. (don Marino)

 

 

La Caritas: per quale carità?

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri”

(Gv 13, 34).

La Chiesa, la comunità cristiana nelle dimensioni diocesane e parrocchiali, è chiamata ad essere un segno concreto e visibile dell’Amore di Dio, della Carità evangelica e dell’attenzione agli uomini che si trovano a vivere situazioni di ‘bisogno’ temporaneo di aiuto per uscire da emergenze personali o familiari o per essere sostenuti e accompagnati in situazioni di disagio pressoché stabili.

In riferimento alle parrocchie la proposizione n° 26 del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione appena concluso dice: “I vescovi riuniti in Sinodo affermano che la parrocchia continua ad essere la presenza primaria della Chiesa nei quartieri, il luogo e lo strumento della vita cristiana, che è in grado di offrire occasioni di dialogo tra gli uomini, per l’ascolto e l’annuncio della Parola di Dio, per la catechesi organica, per la formazione nella carità, per la preghiera, l’adorazione e le gioiose celebrazioni eucaristiche… Al fine di portare a tutti la Buona Novella di Gesù, come richiesto dalla nuova evangelizzazione, tutte le parrocchie e le loro piccole comunità dovrebbero essere cellule viventi, luoghi di promozione dell’incontro personale e comunitario con Cristo, esperienza di ricchezza della liturgia, di offerta iniziale e permanente di formazione cristiana, e di educazione di tutti i fedeli nella fraternità e carità specialmente verso i poveri”.

Già la Chiesa italiana, appena uscita dalla profonda riflessione su se stessa e sulla propria missione fra gli uomini del nostro tempo nel Concilio Vaticano II, colse subito il prezioso patrimonio culturale e di orientamento ideale insito nelle numerose espressioni del volontariato affioranti. Particolare attenzione è stata posta sul volontariato di ispirazione cristiana. Esso, infatti, attinge alla propria fede, condivisa nella comunità ecclesiale, l’amore per la persona povera, ferita ed emarginata. Questo amore è la dimensione su cui ogni cristiano fonda il proprio stile di vita e di relazione, oltre che l’esperienza di servizio. Proprio perché attinto dalla fede, però, l’amore per gli ultimi deve essere una ricchezza dell’intera comunità poiché, espresso dalla comunità, sarà molto più efficace. Su questi intenti si è concentrato lo sforzo della Chiesa italiana istituendo la Caritas nel 1971 e dedicando in seguito un decennio a questo tema e richiamando gli orientamenti in merito nel documento programmatico “Evangelizzazione e Testimonianza della Carità”.

Mi auguro che in tutte le parrocchie prendano avvio le Caritas parrocchiali, supportate dalla Caritas diocesana.

Il papa, alla conclusione del Sinodo sull’Evangelizzazione, ci ricorda che “non si può pensare alla nuova evangelizzazione senza un impegno serio in favore della giustizia e contro le cause della povertà”. (+ vescovo Adriano Tessarollo)

 

 

 

Antenne nel territorio

I Centri d’ascolto. Ascoltare le grida…

“Gridano i poveri e il Signore li ascolta…” Salmo 33. In questi mesi di frequentazione dei centri di ascolto ci è capitato spesso di ascoltare pure noi non le grida, ma le urla dei tanti in situazione di grave disagio.

Urla che hanno messo a nudo una verità drammatica: non ci troviamo più di fronte ad una società sazia e disperata, come tempo addietro amava ripetere il cardinal Biffi, la nostra società rimane sì disperata ma anche sempre più povera. Le fasce più deboli infatti non solo non arrivano alla sazietà né la pretendono, ma rivendicano silenziosamente il diritto ad una vita dignitosa. Di frequente in loro alberga una quantità immensa di disperazione. Una disperazione diffusa, lacerante, devastante. Una disperazione che prende forme nuove, nuovi volti: dai problemi abitativi a quelli economici, da quelli familiari a quelli sanitari, da quelli giudiziari a quelli occupazionali, da quelli psichici a quelli della dipendenza da sostanze stupefacenti o da gioco d’azzardo. Tutte situazioni, purtroppo, sempre più numerose e presenti nel nostro territorio diocesano.

Volutamente non riportiamo numeri (che pure sono in nostro possesso e in costante aumento), poiché è nostra convinzione che l’efficacia dei nostri centri di ascolto – che definiamo “antenne del e per il territorio” – non sia soltanto riconducibile alla quantità di problematiche risolte, quanto piuttosto alla capacità di costruire, indicare percorsi di promozione umana senza fermarsi alla logica dell’emergenza, dell’immediatezza, e non da soli.

Per arrivare a questo c’è infatti bisogno di lavorare in rete, di unire le forze (comunità ecclesiale e civile) affinché “la solidarietà non diventi un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine o lontane (…), ma determinazione ferma e perseverante per il bene comune (…) perché tutti siano veramente responsabili di tutti” (Sollecitudo rei socialis, n. 38).

E per amore della verità è giusto che umilmente e coraggiosamente ci poniamo delle domande:

– Le nostre comunità ecclesiali sono così attente, aperte, “educate” ad una cultura della solidarietà, non demandandola al “buon cuore” di ogni singolo individuo?

– Le situazioni di disagio devono coinvolgere uno sparuto manipolo di persone che dedicano tempo ed energie o non piuttosto devono interessare in primis l’intera comunità civile: istituzioni, associazioni… in un percorso di maggior collaborazione senza delegare – magari con la logica delle buone azioni – ad altri ciò che spetta a loro?

– C’è conoscenza e consapevolezza delle nuove forme di povertà presenti nel nostro territorio?

– Abbiamo il coraggio e la capacità di progettare percorsi solidali di promozione umana, evitando di cronicizzare l’assistenzialismo? Anche qui con la logica della beneficenza?

Ai posteri l’ardua sentenza? No! Sono domande che non solo meritano risposta, ma necessitano di risposta e non da lasciare ai posteri. Le domande interpellano ciascuno di noi e non chi verrà dopo di noi.

C’è indubbiamente ancora tanta strada da percorrere per superare la cultura dell’elemosina, dell’agire istintivo, emotivo per arrivare ad una carità “intelligente”, programmata e non improvvisata, ad un agire pensato.

Abbiamo iniziato con una citazione veterotestamentaria, concludiamo con una neotestamentaria: “Caritas Christi urget nos” (2 Cor. 5,14). Lasciamoci guidare, spronare, sollecitare dall’amore di Cristo, facciamo nostro quel “noi”, mettendoci la faccia, lavorando in rete così da poter arrivare ad un’autentica promozione della persona, evitando facili e superficiali gratificazioni personali. (Lucio Voltolina e Lucia Bellemo)

 

 

L’esperienza del “recupero possibile”

La Caritas diocesana e l’opportunità dei lavori socialmente utili

Da gennaio 2012 è attivo nella Diocesi un nuovo servizio Caritas, che ha come sfondo l’emergenza giustizia della nostra società ed è rivolto alle persone che subiscono le sanzioni amministrative e penali previste dal codice della strada. Queste persone, perlopiù giovani che lavorano, fermate dalle forze dell’ordine perché hanno abusato di alcool e/o di sostanze stupefacenti, subiscono una serie di conseguenze: anzitutto viene loro sospesa la patente e sequestrata la macchina e poi, dopo vari mesi o anni, devono affrontare un processo civile che infligge loro dure sanzioni sia economiche, con multe di migliaia di euro, sia sanzioni civili e/o penali con l’iscrizione del reato sulla fedina penale. Ora c’è una legge molto positiva – che ricalca il modello nord europeo di ‘riparazione del reato’ – che rappresenta una vera opportunità per queste persone in quanto dà loro la possibilità di svolgere i “LSU”, “lavori socialmente utili” per la comunità, in alternativa alla pena. In quest’ottica la Caritas Diocesana si è attivata tempestivamente per stipulare una Convenzione con il Tribunale di Venezia nella consapevolezza di creare una relazione di aiuto per persone che hanno manifestato delle fragilità e degli eccessi nei loro comportamenti. Infatti, hanno causato, o potevano causare, conseguenze dolorose e più o meno gravi di ordine psico-fisico ed economico per le persone innocenti che si sono trovate casualmente o potevano trovarsi sulla loro strada.

Come cristiani siamo convinti che la povertà, la giustizia e la solidarietà siano valori che vanno coniugati specialmente in una società complessa come la nostra. Ci possiamo porre molte domande che non sono retoriche ma hanno bisogno di un’indagine più approfondita che va fatta anche per molte altre situazioni e riguardano l’educazione, l’identità personale e le insicurezze,le paure di queste persone, riguardano la società e i suoi valori o disvalori, riguardano i mass-media e i miti virtuali dei giovani e altro ancora.

Per restare alla nostra esperienza possiamo affermare che i LSU possono diventare un’opportunità per queste persone di svolgere un’esperienza di vita buona e di riflettere essendo inseriti in realtà educative al servizio di minori bisognosi di aiuto. E anche per noi il vivere dentro questa realtà è un’opportunità non solo di aiutare persone in difficoltà ma anche di testimoniare Gesù Cristo, che ha portato nel mondo la giustizia, la libertà e la fratellanza, che noi chiamiamo Carità. (Rudy Janes)

 

 

Speciale Avvento 2012.

Catechesi e carità

Costruire percorsi di sensibilizzazione alla carità, per accompagnare persone 

“Educare alla maturità cristiana significa insegnare che la fede, senza le opere, è morta”. Questo diceva il card. Martini ed è questo che è alla base del costruire percorsi di sensibilizzazione alla carità, per accompagnare persone proposto dalla Caritas diocesana per il prossimo Avvento.

La fede infatti si nutre di tre esperienze: l’esperienza della liturgia (l’incontro con Gesù nel rito dell’Eucaristia), l’esperienza della catechesi (l’incontro con Gesù che parla e ascolta), l’esperienza della carità (l’incontro con Gesù che è in chi incontro nella vita di ogni giorno). La carità su tutte è la più forte e in quest’ottica la Caritas diocesana propone l’iniziativa per l’Avvento    “La carità della porta accanto” che è composta da semplici strumenti guida che sono: il calendario dell’Avvento e le cassettine per la raccolta delle offerte per le iniziative caritatevoli delle parrocchie della nostra diocesi, il libro delle preghiere per la famiglia, il manifesto da affiggere in parrocchia (nella foto).

Il calendario propone ed illustra un elenco di attività, presenti nel territorio diocesano, a disposizione dei genitori e dei catechisti per un percorso educativo alla carità cristiana dei fanciulli e ragazzi. Questa raccolta vuole proporsi come un itinerario formativo, un’opportunità per far vedere e toccare con mano l’importanza dell’impegno cristiano di ciascuno in un cammino di corresponsabilità nella Chiesa dei nostri tempi. Leggendo il calendario si scoprono numerose iniziative che costituiscono molteplici spunti di intervento di valore educativo.

L’altra iniziativa è la raccolta delle offerte attraverso le cassettine. Uno strumento semplice per chi intende accompagnare il cammino dell’Avvento con un gesto semplice e concreto di solidarietà. L’innovazione di quest’anno consiste nel mantenere le offerte raccolte presso le parrocchie senza inviarle per forza ad altri soggetti centralizzati. Questo a tutto vantaggio delle comunità cristiane locali che possono sviluppare progetti condivisi attingendo a risorse, anche se di piccola entità.

Per sviluppare l’iniziativa non è quindi sufficiente la presenza dei soli catechisti o solo dei genitori o dei parroci, ma è fondamentale lavorare con l’apporto dell’intera comunità parrocchiale. Per questo è necessario far conoscere la proposta al consiglio pastorale in modo che ognuno possa sostenerla attraverso le proprie idee e competenze.

Con questa iniziativa, quindi, si vuole porre l’accento sulla possibilità di creare dei percorsi coinvolgendo tutte le “anime” di una Parrocchia. L’obiettivo non sarà l’iniziativa finale, con la raccolta e la destinazione dei fondi, ma il percorso di crescita con le varie realtà parrocchiale da affrontare insieme.

L’invito della Caritas Diocesana è chiaro: lavorare insieme per educare alla fede e alla carità. Questa attività ha l’obiettivo di preparare il terreno alla collaborazione fruttuosa tra operatori pastorali.

Perché per testimoniare qualcosa di più di un buonismo operativo è necessario fermarsi a riflettere, chiedersi cos’è la carità, domandarsi il senso, il perché, rimettere in discussione il come e il dove. La ricerca del senso e della logica della carità è nostra responsabilità di cristiani maturi. (Amelio e Mauro)

 

 

 

Sono un amministratore in tempi difficili…

La testimonianza di un assessore ai servizi sociali in un comune del nostro territorio, per capire l’utilità e le difficoltà del settore in questi anni

Sono amministratore ai Servizi Sociali di un Comune, un Comune che prima di tutto è una comunità di persone, e l’assessorato ai Servizi Sociali ti pone direttamente a confrontarti con tutti i problemi che una persona vive e attraversa in quel preciso momento, ti fa entrare dentro la sua casa (quando ancora ne ha una o, a volte, per quel periodo di tempo in cui ancora ne avrà una che l’accoglierà), la sua famiglia o la sua solitudine, le sue necessità, i bisogni, le lacune e ti mette di fronte ad evidenti incapacità di porre rimedio e soluzione a tutte le richieste di aiuto.

Più di qualcuno mi ha posto questo quesito: “Chi te l’ha fatto fare? In un momento di crisi della politica come quello che stiamo attraversando ora, adesso che l’unica carta vincente sembra essere solo l’antipolitica, che tutti si scagliano contro chiunque rivesta in qualche modo un ruolo pubblico, istituzionale, che le risorse economiche e finanziarie sono scarse e i contributi economici alle persone che versano in stato di disagio vanno sempre più centellinate?”. La risposta non è certo facile né può essere semplicemente la volontà o il desiderio di mettersi al servizio degli altri. Anche se questo è senz’altro alla base della scelta. Ci possono infatti essere tanti e diversi modi di essere presente e agire per la propria comunità.

Amministrare ti fa toccare con mano il farsi prossimo agli altri, ad essere in prima fila nel perseguimento del bene comune, nel mettere in pratica azioni concrete per raggiungere quell’obiettivo ultimo e primo che è il bene dei tuoi concittadini, oltre ad essere promotori, e la possibilità di essere attori del cambiamento, di un rinnovamento, un nuovo modo di vedere ed affrontare le sfide future, nell’infondere la speranza in un futuro migliore.

Oggi i problemi più cogenti sono senz’altro l’emergenza abitativa, il disagio dovuto alla perdita del lavoro con i relativi aspetti economici e l’incapacità di far fronte anche ai bisogni elementari della vita quotidiana, con tutti i conseguenti risvolti anche di natura psicologica che questo disagio comporta, anche in quelle famiglie che si trovano per la prima volta ad affrontare detti problemi, causati proprio dalla crisi finanziaria prima, economica poi, che ha colpito il nostro Paese. Amministrare impone di partire dal disagio sociale di chi in questo momento vive una situazione di povertà perché queste persone meritano una risposta che vada al di là dell’assistenzialismo, della “bontà” o “interesse” di chi svolge in quel momento la funzione di amministratore locale. Necessitano, e a mio avviso ne hanno il pieno diritto, di essere reinserite nella società, di trovare una risposta che vada nel senso di promuovere la persona, di ritrovare il loro posto e recuperare la loro piena dignità di persone.

Chi riveste un ruolo politico-amministrativo non deve esprimersi in base a concezioni già formate e precostituite; ha l’obbligo di conoscere approfonditamente il proprio territorio e le persone che in esso ci vivono, mettendosi in atteggiamento di ascolto della propria cittadinanza. Solo in questo modo è possibile programmare una risposta strutturata e non dettata da un’onda, magari emozionale, per rispondere ad un bisogno immediato, consapevoli che una risposta adeguata può essere data solo mettendosi in rete con tutti gli altri enti ed associazioni, civili e religiosi, che operano sul territorio.

Molteplici sono le sfide che si pongono ad un amministratore in questo preciso momento storico, tra cui la scarsità delle risorse economiche, anche se penso sia sotto gli occhi di tutti che l’abbondanza delle disponibilità economiche in altri tempi non sia comunque riuscita ad essere risolutiva a questioni che purtroppo ancora oggi sono aperte; la sinergia tra le diverse forze in campo appare a mio avviso la soluzione più appropriata, con la consapevolezza che solo unendo competenze diverse si può tentare di dare risposte a situazioni complesse e solo lasciando da parte l’egoismo del proprio interesse si può perseguire l’interesse comune.

(Veronica Pasetto, assessore ai servizi sociali del comune di Taglio di Po)

 

 

Testimonianza dal cammino verso il diacono permanente

La carità: virtù o ministero?

In altre parole: perfezione personale o edificazione della Chiesa? Il pensare e il fare sono fortemente connessi quando parliamo di carità. Non solo fare, ma anche pensare. Non solo pensare, ma anche fare, come dice l’ultima enciclica di Benedetto XVI, dove il papa afferma che la carità non può ridursi a sentimentalismo e neppure può diventare un gesto meccanico di elemosina.

La carità va “pensata”, dunque, e in questo alveo vorrei quindi mettere in risalto un dilemma: la testimonianza della carità oggi è ascrivibile all’ambito delle virtù o della ministerialità?

La virtù ha come obiettivo la perfezione personale. È qualcosa di aggiunto, di facoltativo, di eccezionale, magari di competenza di quella parte della comunità che vive i consigli evangelici. La visibilità della comunità che considera la carità come una virtù è affidata alla fede e ai sacramenti. La carità per secoli è stata vista come una virtù, la massima virtù. Si inseriva però in una Chiesa già costruita dalla fede e dai sacramenti, e non era ritenuta necessaria nel percorso della salvezza.

La testimonianza della carità interpretata invece nei termini di un ministero, necessaria perciò per l’edificazione della comunità, è forse una presa di coscienza recente, degli anni ’90 del Novecento. Secondo questa visione la carità edifica la Chiesa, ne è l’elemento principale che costruisce la comunità dei credenti.

Nelle nostre comunità prevale il modello virtuoso di testimonianza della carità, oppure quello ministeriale? Credo che da questa domanda nasca l’esigenza di rivolgersi al Vangelo stesso per interpretare la “forma” della carità suggerita e attuata da Gesù.

Da sempre, nella vita della comunità credente, si è sentito il peso del comandamento rivolto da Gesù ai discepoli alla fine della lavanda dei piedi: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. È in gioco un riconoscimento concreto e verificabile, perché la testimonianza della carità deve essere concreta. Ma se essa viene intesa come virtù, allora continuerà ad essere una serie di servizi che la comunità cristiana dispensa. La carità stessa non sarebbe essenziale all’edificazione della Chiesa, piuttosto sarebbe l’opera che quest’ultima compie verso il mondo. Se si parla invece di ministero, significa che la carità è necessaria per tutta la chiesa, non è possibile una delega. A tal proposito un suggestivo spunto ci è dato nel documento della CEI Evangelizzazione e testimonianza della carità del 1990, ai nn 10-11: non carità con lo scopo di evangelizzazione, ma evangelizzare grazie alla carità.

È in questo spirito che si inserisce il cammino verso l’ordinazione come diacono permanente, che anch’io ho intrapreso.

Molto succintamente, vale la pena dire che il diacono è un ministro ordinato, non è un surrogato o un sostituto del presbitero, neppure un super-laico. È semplicemente un battezzato che, come tutti, prende parte alla missione del Corpo ecclesiale in ragione del proprio carisma, chiamato ad una funzione particolare al servizio di tutti. Ministro quindi, e per questo destinato all’edificazione della Chiesa. Non è che il diacono smetta di partecipare al ministero comune del battesimo, o che sia un “di più”. Chi scrive è stato chiamato a intraprendere questa strada solo dopo aver compreso che il diacono, per il suo ministero, rappresenta sacramentalmente la diaconia di Cristo alla quale è chiamata tutta la Chiesa. Mi sono ben presto reso conto di non essere incamminato verso qualcosa di “maggiore” rispetto agli altri battezzati, ma verso qualcosa di “specifico”. Nel luogo del mio impegno anche professionale, la Caritas, posso dire di dover condurre i battezzati a diventare un popolo di servitori, ridando a questo mondo il gusto del servizio.

Penso al mio futuro ruolo come un’interfaccia, stando sulla soglia compresa tra la Chiesa e la storia, fra la comunità cristiana e il suo ambiente.

Il ministero del diacono, ancor più se impegnato nella Caritas, si pone sul piano dell’agire, perché il ministero è essenzialmente un fare, un agire: quello relativo all’edificazione della Chiesa e all’annuncio del Vangelo.

Ascriverei qui la stretta connessione del ministero della carità, necessario per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza di ciascuno, e il ministero ordinato del diaconato permanente. Il diacono non cessa di essere un battezzato, fratello in mezzo a fratelli e sorelle, ma, in virtù della sua ordinazione, è stabilito al servizio della fraternità ecclesiale e della sua missione, al servizio anche del raduno ecclesiale nel mentre si fa. In parole povere, un ministro ordinato alla costruzione della Chiesa particolare, come partecipe a suo modo della missione che gli apostoli e i loro successori hanno ricevuto da Cristo. (Attilio Gibbin)

 

 

I volontari Caritas

Il volto della Chiesa si fa prossimo

L’anno che si sta concludendo è stato ricco di momenti formativi per volontari e amici della Caritas. La formazione continua degli operatori è impegno indispensabile per garantire una relazione di qualità a tutte le persone in difficoltà che si rivolgono ai centri di ascolto e ai diversi servizi che la Caritas offre sul territorio della nostra diocesi.

Il servizio di volontario nella Caritas è una risposta concreta alla richiesta di “comunità corresponsabile” contenuta nel documento pastorale del nostro vescovo Adriano.

Il volontario della Caritas è un uomo/donna di relazione, che si coinvolge e opera nelle frontiere del mondo per testimoniare l’amore di Dio padre a tutta l’umanità.

Per svolgere in modo efficace questa corresponsabilità e il suo ruolo, il volontario necessita di una continua crescita e quindi formazione personale permanente in almeno tre ambiti fondamentali:

– cura delle relazioni interpersonali;

– conoscenza delle situazioni di “dolore/emarginazione” dei poveri;

– cura della propria fede e testimonianza dell’impegno di tutta la comunità dei credenti.

La cura delle relazioni personali è elemento importantissimo sia per la creazione di buone e corrette relazioni nel gruppo dei volontari, piccola Chiesa, sia per creare le migliori condizioni per l’accoglienza delle persone che alla Caritas si rivolgono.

La conoscenza delle situazioni di “dolore/emarginazione” aiuta il volontario ad individuare le diverse problematiche e possibili forme di aiuto di cui la persona ha bisogno, scevro da pregiudizi e da possibili derive emotive.

La cura della propria fede è indispensabile per non scivolare nel volontarismo delle buone intenzioni, e per render sempre evidente l’impegno ad essere strumenti dell’amore di Dio per tutta l’umanità.

Evidenti e conosciuti sono i pericoli in cui possono incorrere volontari troppo fiduciosi delle proprie capacità:

– creazione di piccoli centri di potere;

– incapacità di entrare in relazione con la persona richiedente aiuto;

– farsi fagocitare nella relazione perdendo lucidità e capacità di fornire aiuto concreto;

– vivere l’impegno come fatto personale cercando una propria gratificazione;

– estraniarsi dalla comunità locale evitando il confronto per una crescita collettiva di tutti i suoi membri.

Il volontario è un abitante della frontiera, del luogo in cui si incontra il dono, la gratuità, la testimonianza con i limiti, le paure, le miserie i conflitti del mondo, un ambiente in cui si incontrano le diverse umanità, difficile quindi, ma ricco di possibilità di testimonianza, di redenzione, di risurrezioni, un ambiente non di eroi, ma di persone che insieme giocano una parte importante della propria vita per costruire un mondo più giusto. La formazione continua è quindi lo strumento indispensabile per la crescita di noi stessi, del gruppo di persone con cui si condivide l’esperienza e per far vivere esperienze di accoglienza vera alle persone che a noi si rivolgono. (Giorgio Rossi)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 44 del 25 novembre 2012