Il canto gregoriano nella chiesa

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Il canto gregoriano nella chiesa

L’11 ottobre inizierà l’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto, anche a ricordo dall’inizio del Grande Concilio Vaticano II, voluto da Papa Giovanni XXIII. Il primo documento uscito da quella assise, composta da oltre 2.500 Vescovi “Padri Conciliari” si intitola “Sacrosanctum Concilium” e dà chiari indirizzi sulla Liturgia. Al numero 116 di quel Documento si legge: “La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana; perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale”. Questo perché? Risponde mons. Frisina, che tra l’altro dice: “Il gregoriano è al servizio della parola perché è al servizio di Cristo. Il gregoriano è semplice melodia nella liturgia che diventa grande canto di amore a Dio”. E ancora: “Il canto gregoriano, nella sua semplicità, provoca in noi una sorta di nostalgia di cielo, di dilatazione del cuore, di forza e di gioia. Noi lo ascoltiamo e diciamo: è musica sacra. Ma perché diciamo che è musica sacra e non profana? Perché sentiamo che tutti i suoi elementi ci orientano in cielo, in alto.”. Certo, è necessario che sia ben eseguito…

Ancora ci domandiamo: “Perché il primo posto al canto gregoriano?”. Già sopra c’è qualche risposta. Ma mi preme riportare qui quanto l’illustre organista, nostro diocesano, il sig. Alberto Voltolina, scrive su un suo testo (A. Voltolina, Ma quale messa stiamo vivendo, Armelin Musica, Padova) composto poco tempo fa e che ogni parrocchia dovrebbe possedere per le cose importanti che scrive: “Certamente è da escludere si tratti di una forma di “affezione” dei padri conciliari verso una tradizione musicale millenaria e

tramandata per secoli, nonché per secoli unica ad essere ammessa nel culto divino. Non sarebbe una condizione bastevole poiché, se per assurdo il canto gregoriano non avesse egregiamente assolto alla sua funzione, e se ancora oggi non la assolvesse, certamente il Concilio (nonché tutti i documenti anteriori e posteriori ad esso) non ne avrebbero ribadito, per così dire, l’ufficialità. Prescindendo dalle considerazioni formali ed estetiche, anch’esse importantissime e significanti, come rilevato dal Frisina, si deve innanzitutto dire che il gregoriano “recita” il testo proprio della Messa. Non si inventa, cioè, testi che possano in qualche modo essere ricondotti all’argomento o alla ricorrenza di quella determinata funzione. No. Il gregoriano innesta nella melodia esattamente il testo della messa. Dall’antifona di ingresso al communio riporta in musica ciò che il messale prescrive per quella domenica, quella festività, quel sacramento o sacramentale. E lo fa nel migliore dei modi ovvero non sovrapponendo al testo nessun’altra struttura che non sia la più spiritualmente ispirata delle melodie. Non voci che si sovrappongono, non strumenti che accompagnino o che interludino. La melodia si fa preghiera al servizio del testo sacro che si esalta tra le volte del tempio, parte dalla nostra bocca ora con caratteristiche di supplica, ora di invocazione, ora di gioia e, penetrando nelle orecchie e nei cuori, li predispone al contatto con Dio perché mentre cantiamo stiamo, in realtà e con forza, secondo i dettami della Chiesa, pregando.

Cosa significa quel “a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale”?

Sostanzialmente due cose.

La prima è che esso non è, come già detto, l’unica forma musicale “raccomandata” nella liturgia. L’altra, però, è che si deve fare di tutto affinché la Chiesa (intesa come popolo di Dio riunito nella celebrazione) lo canti. Dai bambini ai giovani, dagli adulti alle “vecchiette”, nella Messa e nell’Ufficio Divino. Sempre ad esso spetta il posto principale e privilegiato poiché la sua efficacia (intesa come raggiungimento di uno scopo che è quello della edificazione dei fedeli nel compimento dell’opera di redenzione divina) non è messa in discussione. Per raggiungere questo grado di partecipazione non è certo necessario che tutti sappiano cantare tutto. Il fatto che si pensi al gregoriano come ad un canto per pochi eletti (motivo principale del suo abbandono, assieme a tanti altri) e che ci si arrocchi dietro questa scusa per non eseguirlo, è un falso storico ed ideologico. Basti prendere il Graduale Simplex. Moltissime delle melodie ivi contenute sono adatte alla capacità della maggior parte delle assemblee.”

Termino, riportando quanto Papa S. Pio X, volendo rinnovare la musica di chiesa, nel 1903 scrisse in un ben noto documento in cui riguardo alle composizioni musicali liturgiche così dice: “Tanto una composizione per chiesa è più sacra e liturgica, quanto più nell’andamento, nell’ispirazione e nel sapore si accosta alla melodia gregoriana e tanto meno è degna del tempio, quanto più da quel supremo modello si riconosce difforme”.

Tutto questo, in blocco, viene condiviso dal beato Giovanni Paolo II, nel documento “Chirigrafo nel centenario del doc. “Fra le sollecitudini” di S. Pio X”.   (M. R.)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 35 del 23 settembre 2012