“… E quel giorno mi chiamò”

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“… E quel giorno mi chiamò”

L’ordinazione sacerdotale di don Matteo Scarpa in occasione della solennità dei Santi Patroni.

Gli ultimi giorni in preparazione all’ordinazione presbiterale sono stati giorni intensi di preghiera e di ascolto della Parola, e quindi della voce del Signore. È stato un tempo per comprendere il grande dono che stavo per ricevere e che mi porta a conformarmi sempre più a Cristo Buon Pastore, che ama e guida il suo gregge. L’abbraccio prima con il vescovo, e poi con il Presbiterio diocesano, al termine dell’ordinazione, dopo la prostrazione durante le litanie dei santi, e l’aver indossato gli abiti propri del sacerdote mi ha fatto sentire la bellezza e l’importanza del ministero, dell’essere una cosa sola con gli altri fratelli che vivono già l’esperienza di annunciatori del Vangelo. L’aver visto così tanti fedeli confluire nella nostra

Cattedrale mi ha fatto percepire come grande sia il senso di rispetto, ma soprattutto il bisogno di sacerdoti da parte della gente. In questo nostro tempo in cui ogni giorno riconosciamo di essere una minoranza tante persone provenienti da tutta la diocesi hanno elevato il loro grido di speranza nel vedere un giovane, che, andando contro corrente, ha lasciato tutto, per seguire il Maestro, divenendo così un nuovo operaio della vigna del Signore. Anche il vescovo nella sua omelia, rivolgendosi ai presbiteri e a me, ha sottolineato l’importanza che ci sia una testimonianza viva, gioiosa e bella da parte dei discepoli, perché solo così potremo contagiare altri giovani, che con cuore libero e ardente si incamminino alla sequela di Gesù. È stato bello per me vedere insieme in preghiera le comunità dell’isola di Pellestrina, da cui provengo, e la comunità di Ca’ Bianca dove ho prestato il mio servizio diaconale. E’ stato il segno della comunione: se l’isola mi ha generato alla fede e alla vocazione, Ca’ Bianca mi ha fatto crescere nel ministero e nella carità pastorale. A loro va il mio profondo ringraziamento per quello che in questi anni di formazione mi hanno dato in termini di fede e maturazione personale e pastorale. Non posso non ricordare la comunità del Seminario diocesano, che sette anni fa mi ha accolto come giovane in cammino, mi ha aiutato nella crescita intellettuale e spirituale dandomi le basi per un ministero fecondo e gioioso. Un ultimo ringraziamento alla mia famiglia che,camminando al mio fianco, mi ha sostenuto in modo speciale in questi anni di seminario facendomi sentire il suo affetto e la sua presenza in ogni circostanza, soprattutto quelle più delicate. (don Matteo)

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Per noi seminaristi, ogni volta che viviamo l’ordinazione diaconale prima, e presbiterale poi, di un nostro compagno di viaggio è sempre una grande esperienza, un momento di grande intensità ed emozione. In quel momento tutto il tempo passato pare non essere mai stato, albergano solo sentimenti positivi e belli: dei cinque, sei anni trascorsi assieme ricordi solo i momenti più divertenti, più spassosi, di maggior comunione. Ormai alla quarta ordinazione presbiterale cui partecipiamo, ancora non abbiamo fatto il “callo” all’emozione, vedere l’ordinando prostrato a terra, vederlo indossare gli abiti sacerdotali, e vedere tendere la mano al momento della consacrazione a fianco del Vescovo è una grande commozione. Ma oltre il sentimento interiore, c’è di più! Infatti, rivolgendoci a lui, a te don Matteo, ci siamo lasciati provocare da una domanda: che prete vorrei essere io? Che prete vorrei fosse Matteo? Come Gesù, a immagine e somiglianza di Lui! Una risposta certo scontata per alcuni, ma in effetti un obiettivo non facile da perseguire. Pensando a Gesù nei Vangeli siamo colpiti da diversi aspetti delle sua persona. Gesù è uomo tra gli uomini, vive tra la gente e ne condivide problemi e fragilità. Gesù è maestro di vita, è guida e pastore, è testimone coerente della Buona Novella che annuncia. Gesù guarisce da malattie fisiche e da spiriti immondi, perdona e dà vita nuova ai peccatori. La vita di Gesù è caratterizzata dalla preghiera, espressione della sua intima relazione d’amore con il Padre. Con riferimento a questi aspetti, il prete che vorremmo augurare a don Matteo di essere è come una persona in movimento, nel territorio della sua missione, dedito a incontrare la comunità, a conoscerne le potenzialità e fragilità per essere al fianco della sua gente, vivendo il suo essere uomo tra gli uomini. Il prete che immaginiamo Matteo possa essere è un prete come guida spirituale, di riferimento per giovani e meno giovani. Ripensando ancora a Gesù, Egli è uomo perfetto di relazione, è Colui che sa entrare in dialogo con l’altro non con autorità ma con autorevolezza. Gesù guida la persona sulla via della conversione con rispetto, sulla via della guarigione e quindi della salvezza con amore. Matteo con la sua semplicità, bonarietà, e docilità sarà davvero “maestro di relazione”, capace di stare con tutti per dialogare con tutti, senza superbia, sia nello stile che nel linguaggio, con una certa determinazione ma anche con dolcezza, che a Matteo non manca! Ecco, questo è quello che auguriamo a don Matteo, certi che sarà lo Spirito a plasmarlo secondo il Suo volere, come scrive il profeta Isaia “Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri”. (Simone e Yacopo)

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Un prete non è mai solo

 

Non esiste, in via ufficiale, un formulario per l’Ordinazione di un solo sacerdote. Tutti i testi della Liturgia di Ordinazione Presbiterale sono al plurale, come se ogni volta ad essere ordinati fossero più sacerdoti. Inguaribile ottimismo della Chiesa o che cosa?

Non conosco la ragione di quest’unica “versione” dei testi, che complicano un po’ le cose ad un vescovo quando deve volgere continuamente le formule al singolare, non senza qualche insidia sintattica.

Mi piace immaginare però che questa “mancanza” nei testi liturgici, faccia paradossalmente risaltare un tratto decisivo dell’identità di un prete: anche quando è ordinato da solo, un prete non è mai… solo. Dal giorno della sua ordinazione un prete entra a far parte del presbiterio, che lo educa a vivere un autentico senso di comunione con il vescovo e con gli altri fratelli nel ministero.

Così lunedì scorso è accaduto con don Matteo, novello sacerdote della nostra diocesi.

Il suo ingresso nel presbiterio diocesano è stato, per così dire, siglato con due gesti intensi e straordinariamente eloquenti da parte del vescovo e di ciascuno dei sacerdoti presenti: l’imposizione delle mani e l’abbraccio.

Nel gesto tenero dell’imposizione delle mani sul capo di don Matteo è come se ognuno dei preti lo avesse reso parte dell’esperienza viva del proprio ministero. È caratteristico della vita cristiana che ogni dono da Dio ricevuto si ravvivi non trattenendolo gelosamente, ma condividendolo gratuitamente.

Don Matteo in tal modo ha sentito affidata anche alla propria cura e responsabilità pastorale la “tradizione” della fede della chiesa clodiense, che risplende nella storia e nei volti delle comunità e dei suoi preti. In quel gesto, particolarmente commosso nei preti più anziani, quasi un passaggio di testimone al più giovane dei fratelli, ogni prete ha sentito riattivarsi in abbondanza la grazia degli inizi.

Nel gesto caloroso e prolungato dell’abbraccio si è iscritto per don Matteo non solo il segno di una cordiale amicizia con altri presbiteri, ma ancor più il sigillo di un vincolo fraterno sacramentale; un legame, questo, più forte di quello della carne e del sangue, che molto assomiglia a quello che Gesù riconosce con quanti compiono la volontà di Dio: “Sono per me fratello, sorella e madre”.

A don Matteo, dunque, “neonato” nella singolare famiglia del presbiterio diocesano, il benvenuto di tutti noi, suoi fratelli preti, contenti di essere a servizio, anche con lui, del Signore Gesù e della sua Chiesa. (don Pierangelo Laurenti)

 

 

 

La scelta di Cristo rende felici.

Il Seminario attende altri: che il “cuore della diocesi” non abbia ad arrestarsi!…

La grazia dei Santi assiste tutti coloro che il Signore chiama alla sequela: e sono veramente tanti. A questo fiume di grazia pochi attingono acqua e Matteo, ora presbitero diocesano, è uno di quelli che non si è tirato indietro ma ha detto con generosità il suo Sì e a piene mani, come gli uomini scelti da Dio e da Gedeone (cfr Gdc 7,1-8), ha attinto acqua con abbondanza.

Ha messo le sue mani in quelle del vescovo Adriano e attraverso di lui in quelle del Signore Gesù. È suo. Scelto. Un mistero per certi versi indicibile, come è indicibile il mistero della vita.

A questo punto la fede, la speranza e la carità entrano in gioco e orientano le scelte collegate tra loro da quel sottile filo rosso che dà unità alla vita.

Matteo ci ha creduto, ha fatto esperienza di Dio, ha riconosciuto la sua presenza e quella chiamata interiore e comunitaria alla sequela: questo gli è stato sufficiente per fidarsi di una proposta di futuro promettente.

Oggi di fronte a ciò molti giovani si trovano in difficoltà perché diseducati a uno sguardo come questo: è la vita spirituale nella sua forma personale e comunitaria che ha perso la forza e il vigore di un tempo e ha lasciato un vuoto che difficilmente può trovare una risposta adeguata. Le scelte slittano così in avanti all’infinito e ci si trova in stallo.

Matteo ha mostrato ai suoi coetanei che è possibile e la sua gioia ha testimoniato al mondo che Cristo rende felici. La sua gioia, che in questi anni di seminario è stata una costante, ora farà sentire la sua mancanza.

Già da qualche mese ha iniziato l’esperienza pastorale presso la comunità di Ca’ Bianca, rimanendovi dal giovedì alla domenica, gli altri tre giorni li ha trascorsi in Seminario. Gli altri due seminaristi che si stanno abbeverando alla sorgente, Simone e Yacopo, sono anche loro ormai prossimi alla meta e all’orizzonte altri due stanno valutando la possibilità di una risposta.

La vita di comunità ha a che fare con volti ed esperienze diverse e con numeri così piccoli che lo stile e le scelte sono simili a quelle che si potrebbero fare in famiglia.

La preghiera e le scelte educative di tutte le comunità della diocesi devono urgentemente orientarsi verso uno stile vocazionale che incoraggi chi sente la chiamata ma teme di rispondere: solo una comunità educante e una spiritualità più vicina alle giovani generazioni potrà aprire con fiducia al mistero di Dio.

Il Seminario è sempre stato considerato il cuore del cuore della diocesi.

E se esso si fermasse?

Se le nostre comunità non portassero più sangue nuovo, come potremo rispondere a questo arresto cardiaco? Pettorazza Grimani e Papafava erano considerate il giardino della diocesi per le molte vocazioni, così pure l’isola di Pellestrina. E ora? (don Damiano Vianello)

 

(Foto: Giovanni Zennaro)

 

 

dal numero 24 del 17 giugno 2012