Un vescovo, e un padre

Facebooktwitterpinterestmail

L’ingresso del nuovo Patriarca di Venezia, mons. Moraglia

Un vescovo, e un padre

“L’attesa è stata lunga, ma vedendovi io dico: ne valeva la pena”. Sono le prime parole di mons. Francesco Moraglia, nuovo Patriarca di Venezia, che ha fatto l’ingresso nella sua nuova diocesi lo scorso 24 e 25 marzo. Dal pomeriggio di sabato alla sera di domenica ha compiuto un percorso iniziato a Mira, lungo la Riviera del Brenta, che ha toccato quindi Marghera, Mestre e Venezia. Striscioni, fiori, divise, palloncini, canti hanno accompagnato le sue soste: persone di tutte le età si sono strette attorno a lui in un abbraccio corale. Chiese traboccanti di fedeli (Gesù Lavoratore, Sacro Cuore, S. Lorenzo Giustiniani, il Duomo di Mestre), sagrati gremiti di gente (Mira Taglio, Mira Porte, S. Maria Maddalena di Oriago, S. Antonio di Marghera, i Cappuccini di Mestre), luoghi pubblici trasformati in teatro di una rappresentazione che ha messo in scena

 

Read More l’anima della città di terra e di acqua: si è visto alla Torre e in piazza Ferretto, davanti alla stazione di S. Lucia, lungo il Canal Grande, in piazza San Marco e, al termine della due giorni, nella piazzetta dei Leoncini. Da subito si è capito il senso non celebrativo, ma pastorale, dell’ingresso del Patriarca Francesco. Non è stata una parata. È stato come se avesse concentrato, in un giorno e mezzo, una serie di incontri nei quali, semplicemente, ha fatto il vescovo. Ha visitato parrocchie, si è calato nei problemi del mondo del lavoro, ha pregato con i giovani della diocesi, si è immerso nella realtà del servizio, della povertà, dell’immigrazione; ha visitato patriarca Moraglia a Veneziaanziani e malati, ha parlato ai fedeli mestrini nella loro chiesa matrice, ha presieduto l’Infiorata, ha fatto il pellegrino alla Salute, ha tenuto un discorso alla città, ha presieduto la prima messa nella sua nuova diocesi. Quasi ovunque ha parlato a braccio, senza mai ripetersi, senza discorsetti pronti, adeguandosi alla realtà che aveva di fronte. Ascoltava gli interlocutori e spesso coglieva una frase per costruire poi la sua riflessione. A S. Nicolò di Mira ha spiegato che un vescovo è soprattutto padre, un padre che desidera prendere per mano i suoi figli. “La mia ragione d’essere, finché sarò Patriarca, è la mia gente”. A S. Antonio di Marghera ha sottolineato che il Patriarca “è con noi, ma soprattutto per noi. Spero ci accorgeremo di essere gli uni per gli altri”. A Gesù Lavoratore ha indicato le responsabilità di una politica che tollera troppa precarietà nel lavoro. “Il Patriarca non ha la bacchetta magica, ma ha a cuore il mondo del lavoro, le famiglie, i lavoratori”. Al Centro Nazaret ha ricordato: “Non dobbiamo avere paura della fragilità. Dobbiamo avere a cuore l’uomo in tutti i momenti della vita”. A S. Lorenzo Giustiniani ha suggerito: “Le nostre parrocchie devono essere dei laboratori di fede: dobbiamo essere capaci di mostrare la nostra gioia di credere”. Nel Duomo di Mestre ha mostrato una strada: “La comunità nella sua totalità diventa credibile nel momento in cui crede. La prima credibilità del credente sta nel credere”. All’Infiorata ha rivolto il suo pensiero ai bambini: “Una città che non sente la responsabilità dei suoi bambini è una città che non ha futuro”. Ovunque ha espresso il suo desiderio di ritornare, nel più breve tempo possibile. Per incontrare quelle persone che gli stanno già a cuore. E nel cui cuore anche lui, ormai, è già entrato. (P. F.)

Moraglia 1Moraglia 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dal numero 13 del 1 aprile 2012