Usura e povertà: come agisce la Caritas

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Lettera a Nuova scintilla

Usura e povertà: come agisce la Caritas

don Marino Callegari

Gentile sig. Direttore, colgo l’occasione della lettera pubblicata la settimana scorsa – provocatoriamente titolata “Usura, parole…,” – sul tema appunto, dell’usura, per chiarire alcuni concetti fondamentali, al fine di far comprendere le modalità con le quali agisce, sul campo dell’impoverimento e delle difficoltà finanziarie, la Caritas Diocesana. Lo stato delle cose Quello della nostra Caritas è – come nelle altre diocesi – un intervento articolato e diversificato, da territorio a territorio, da caso a caso. Per questo motivo è importante aver chiari i soggetti interessati e le modalità di erogazione con cui si effettuano gli interventi. I soggetti interessati sono: la Caritas; la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (Ca.Ri.Pa.Ro.); gli sportelli presenti in Diocesi delle Casse di Risparmio del Veneto (C.R.V. Gruppo Intesa san Paolo). Le modalità sono: Microcredito; Fondo di Solidarietà; Fondo

Antiusura (tralascio in questa sede il Prestito della Speranza che vede coinvolti altri soggetti). Microcredito e Fondo Antiusura sono prestiti e come tutti i prestiti devono avere la garanzia della restituzione. Si configurano quindi a tutti gli effetti come dei prestiti che ricalcano i normali finanziamenti bancari, anche se, in questo caso, a condizioni particolarmente favorevoli: abbiamo un soggetto che eroga denaro, uno che il denaro lo riceve e un soggetto terzo – la Caritas – che, oltre a svolgere una “intermediazione”, si rende garante della restituzione. A dire il vero il tragitto è un po’ più complesso, ma nella sostanza è questo. Il Microcredito è possibile in tutto il territorio della Diocesi, grazie/mediante fondo di garanzia messo a disposizione della Fondazione Ca.Ri.Pa.Ro. La Caritas ha il compito di vagliare, oltre che l’opportunità dell’erogazione, anche la possibile effettiva probabilità di restituzione; se così non fosse – se cioè tutti non restituissero la somma avuta in prestito – si esaurirebbe il Fondo di garanzia e, in un breve lasso di tempo, non si potrebbe più proseguire l’operazione. Quando non ci sono le possibilità di restituzione, non parte nemmeno l’istruttoria. Il Fondo di Solidarietà è sempre erogato dalla Ca.Ri.Pa.Ro. ed ha come scopo quello di sostenere le persone che hanno perso, a causa della crisi in atto, il posto di lavoro. Esso però non è un prestito e dunque non si chiede restituzione, è a fondo perduto: per questo motivo la Caritas lo può erogare solo nel territorio diocesano della provincia di Rovigo (perché appunto erogato da un Istituto legato al territorio padovano e rodigino). Ha una durata limitata nel tempo (alcuni mesi) e viene proposto per aiutare chi – privo di ammortizzatori sociali – si trova a dovere comunque sostenere le normali spese familiari. Anche il Fondo Antiusura è un prestito, ed esige anch’esso restituzione, può essere erogato su tutto il territorio diocesano. È un fondo che intende prevenire il ricorso all’usura, non risolvere casi di usura conclamati, quindi non può coprire somme troppo ingenti, ma ‘arriva’ fino a 30.000,00 euro. Il meccanismo di accettazione della domanda è un po’ più complesso delle altre due formule e vede in aggiunta la presenza essenziale della Fondazione Tovini di Verona che di fatto vaglia le domande. Quando si presentano casi di usura dichiarata o di somme in esposizione superiori a quelle prima citate (potrebbe essere il caso dell’autore della lettera) bisogna ricorrere ad altre strade, per il momento non tutte presenti nel nostro territorio diocesano (i motivi di questa assenza richiederebbero ulteriori precisazioni non possibili in questo spazio). La domanda da fare Tutta questa articolazione di soggetti e modalità pone a mio avviso la domanda “seria” ai nostri contesti civili ed ecclesiali: il dramma dell’impoverimento, nelle sue molteplici e drammatiche conseguenze, che qui ha la sua emergenzialità nell’aspetto finanziario, ma è collegato normalmente ad una serie di ‘disagi’ (lavorativo, abitativo, relazionale…) ci sta interpellando/interrogando come comunità cristiana diocesana? Oppure è – ancora una volta – un “problema” della Caritas? Perché se è un problema di tutti, è dovere morale per noi credenti creare luoghi e situazioni, ma anche promuovere strutture e soggetti nel territorio, dove queste emergenze si affrontano, convergendo anche su segni significativi con i quali dare risposte. Certamente in questi mesi abbiamo visto che le domande e le richieste legate all’impoverimento, superano – di molto – le risorse messe a disposizione. Di fatto sarà necessario avere sempre una disponibilità di denaro (chiamiamola elemosina, come da antica consuetudine) che servirà a ‘tamponare’ situazioni drammatiche non solvibili con queste iniziative, pure importanti: dovremo prevedere anche noi dei sostegni “a fondo perduto”. Cosa fare allora? Si può pensare che in situazione di emergenza la nostra Chiesa di Chioggia possa destinare una maggiore quantità di denaro che le persone mettono a disposizione ad esempio con le offerte deducibili e con l’otto per mille, o con altre modalità di donazione, indirizzandole a questo scopo, dando priorità – almeno in questo frangente storico – rispetto ad altre pur legittime esigenze e bisogni? Cosa fare se non intanto dire ‘parole sensate’ di fronte ad una crisi che, partita come crisi finanziaria, divenuta poi crisi economica con la perdita di posti di lavoro, si configura oggi, come crisi sociale tout-court? La nostra Chiesa locale non potrebbe avere un compito ‘educativo’ (si parla molto di emergenza educativa) nei confronti di Istituti di Credito (leggi banche), di Fondazioni, di Enti Pubblici (Comuni in primis) che erogano risorse per restauri artistici, attività culturali, sportive, ludico-ricreative anche nelle nostre parrocchie e di tener maggiormente in conto delle situazioni umane di sofferenza dovuta all’attuale emergenza economica e sociale? Come Caritas – spinti dall’emergenza – abbiamo dato inizio ad alcuni contatti: siamo in attesa di risposte che, ne abbiamo speranza, verranno. Questi sono – mi sembra – alcuni dei problemi che oggi interpellano la nostra Chiesa. C’è bisogno di una riflessione culturale e pastorale, pena l’essere tagliati fuori dai mondi vitali delle persone. Io credo che oggi ci siano tutte le condizioni per dare spazio a questo tipo di riflessioni e di collaborazioni; bisogna tentare e iniziare. Mi scuso della lunghezza di questo scritto, ma credo importante cogliere l’occasione della lettera in oggetto per affrontare un argomento così delicato e urgente che taglia trasversalmente la vita delle persone e delle famiglie e anche l’immagine di una Chiesa attenta ai vissuti della gente. Distinti saluti. 

Chioggia, 1 marzo 2010

don Marino Callegari